Penale

Art. 572 c.p. giurisprudenza Una breve rassegna di sentenze della Corte di Cassazione sul reato di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 del codice penale

art. 572 c.p.

Il reato di maltrattamenti in famiglia nella giurisprudenza

L’art. 572 del codice penale punisce i maltrattamenti in famiglia, prevedendo la pena della reclusione per chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione o cura.

Il tema è spesso oggetto di controversie nelle aule dei tribunali, ed è proprio la giurisprudenza sull’art. 572 c.p. ad aiutarci a delimitare i contorni della disciplina penalistica di questo reato.

In questa breve rassegna, quindi, analizzeremo alcune delle più recenti sentenze della Cassazione sui maltrattamenti in famiglia.

Le più recenti sentenze della Cassazione sull’art. 572 c.p.

La giurisprudenza della Cassazione penale ci aiuta, innanzitutto, a delineare i caratteri fondamentali del reato di maltrattamenti in famiglia, individuato dalla Suprema Corte come una “fattispecie necessariamente abituale, che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, i quali acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo” (cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 24375/16).

Al riguardo, gli Ermellini hanno specificato anche che tale serie di fatti è integrata da comportamenti che, “isolatamente considerati, potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali” (Cass. pen., sez. III, n. 16543/17).

Maltrattamenti in famiglia, l’elemento soggettivo del reato

Quanto all’elemento soggettivo del reato, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “il delitto previsto dall’art. 572 c.p. richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la vittima ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza” (Cass. pen., sez. VI, n. 10901/17).

Dal punto di vista della persona offesa, invece, è stato rilevato che “in tema di maltrattamenti in famiglia, a fronte di condotte abitualmente vessatorie, che siano concretamente idonee a cagionare sofferenze, privazioni ed umiliazioni, il reato non è escluso per effetto della maggiore capacità di resistenza dimostrata dalla persona offesa, non essendo elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice la riduzione della vittima a succube dell’agente” (Cass. pen., sez. VI, n. 809/22).

Cassazione: il concetto di convivenza di cui all’art. 572 c.p.

Un aspetto importante della disciplina del reato in oggetto riguarda il concetto di convivenza, richiamato dal testo della norma. A tal proposito, è stato chiarito che, “ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, il concetto di “convivenza”, in ossequio al divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici, va inteso nell’accezione più ristretta, presupponente una radicata e stabile relazione affettiva caratterizzata da una duratura consuetudine di vita comune nello stesso luogo” (Cass. pen, Sez. VI, n. 38336/22).

La realtà dei fatti dimostra spesso che le condotte che integrano il reato di maltrattamenti in famiglia si manifestano nel contesto di convivenze di coppia che tendono a concludersi. In questo senso, è importante evidenziare il costante orientamento della Cassazione a considerare come maltrattamenti in famiglia anche le condotte che proseguono dopo la separazione, prevedendo che alle stesse venga applicata la disciplina prevista dall’art. 572 c.p. e non quella, meno punitiva, prevista dall’art. 612-bis c.p. in tema di atti persecutori, cioè di stalking.

Secondo la Suprema Corte, infatti, “integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza” (Cass. pen., sez. VI, n. 45400/22).

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