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Licenziato chi abusa dei permessi 104 La Cassazione riafferma che il dipendente che utilizza i permessi 104 per attendere ad esigenze diverse dell’assistenza al disabile, abusa del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede

abuso permessi 104

Abuso dei permessi 104

Nel caso in esame, un dipendente era stato licenziato dal proprio datore di lavoro poiché era stato provato che lo stesso, nei giorni in cui si trovava in permesso ex art. 33 della legge n. 104 del 1992, si era dedicato ad attività non attinenti con l’assistenza alla madre inabile.

Nella specie, il Giudice di merito ha ritenuto che le ore dedicate dal lavoratore ad incombenti diversi e non connessi all’assistenza della madre erano di misura tale da giustificare gli addebiti mossi da parte datoriale. Questo anche considerato il fatto che “il tempo dedicato all’assistenza non deve essere rapportato all’intera giornata ma piuttosto all’orario lavorativo”.

Avverso la decisione del Giudice di seconde cure, che tra l’altro confermava gli esiti cui era giunto il Tribunale di primo grado, il dipendente aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

Legittimo il licenziamento se il beneficio è usato in modo abusivo

La Suprema Corte, con ordinanza n. 11999-2024, ha rigettato il ricorso proposto e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

In particolare, la Corte ha rilevato che, premesso che in tema di permessi ex art 33 della legge n. 104/92 grava sul dipendente la prova di “aver eseguito la prestazione di assistenza in un luogo diverso da quello di residenza della persona protetta” va rilevato che il permesso in questione “è riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza da prestare al disabile. È rispetto ad essa che l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta”.

Sulla scorta di tali regole, la Corte ha dunque precisato che “il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso di diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari”.

In questi termini, qualora venga meno il nesso causale tra l’assenza del dipendente dal lavoro e l’assistenza al disabile, si è in presenza di “un uso improprio o di un abuso del diritto”.

La Corte ha concluso il proprio esame rilevando che il giudice di merito “ha valutato la gravità della condotta accertata e l’ha reputata idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve sorreggere il rapporto di lavoro”, senza incorrere, nell’ambito delle proprie valutazioni, in alcuna violazione di legge, ne è pertanto conseguito, in sede di legittimità, il rigetto del ricorso proposto dal dipendente.