Licenziamento collettivo: quadro normativo di riferimento
Il legislatore italiano, spinto anche dalle direttive comunitarie, ha disciplinato il licenziamento collettivo nel corso degli anni. Il punto di arrivo è rappresentato dalla Legge n. 223/1991, che ha introdotto un sistema più organico, distinguendo tra licenziamento collettivo per messa in mobilità e per riduzione del personale.
Gli articoli 4 e 24 della legge regolano rispettivamente queste due fattispecie, imponendo procedure specifiche che devono essere seguite per garantire la legittimità dei licenziamenti.
Negli anni successivi, vari interventi normativi hanno ampliato e modificato la portata della disciplina. Tra questi, la Riforma Fornero (L. 92/2012), che ha eliminato la tutela reintegratoria per le violazioni procedurali, mantenendola solo per i licenziamenti senza forma scritta effettuati in violazione dei criteri di scelta. Il Jobs Act (D.lgs. n. 23/2015) ha ulteriormente cambiato il panorama, eliminando la tutela reintegratoria per i licenziamenti economici illegittimi e sostituendola con una tutela indennitaria, successivamente modificata dal Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018) e da una pronuncia della Corte Costituzionale.
La normativa italiana sui licenziamenti collettivi comunque continua ad evolversi, con interventi che cercano di bilanciare le esigenze delle imprese con la protezione dei diritti dei lavoratori, in un contesto sempre più influenzato dalle direttive europee.
Tipologie di licenziamento collettivo
Dalla breve analisi normativa sul licenziamento collettivo emergono due tipologie di licenziamento collettivo, che meritano un’analisi distinta e dettagliata.
Licenziamento collettivo per messa in mobilità
Il licenziamento collettivo per messa in mobilità, disciplinato dall’art. 4 della L. 223/1991, si applica alle imprese con più di 15 dipendenti, che hanno usufruito del trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS). Questo tipo di licenziamento si verifica quando l’impresa non è in grado di rioccupare tutti i dipendenti coinvolti nella riorganizzazione aziendale e non può ricorrere a misure alternative come contratti di solidarietà o altre forme flessibili di gestione del lavoro. La procedura di mobilità prevede fasi conciliative finalizzate a trovare soluzioni che possano evitare i licenziamenti.
Dal punto di vista soggettivo, la norma non si applica agli esuberi di personale derivanti dalla fine di attività stagionali, contratti a termine, lavori edili e contratti di solidarietà difensivi. La disciplina della messa in mobilità non dipende dai requisiti spaziali, numerici e temporali richiesti per i licenziamenti per riduzione del personale.
Licenziamento collettivo per riduzione del personale
Questa procedura consente alle aziende con più di 15 dipendenti di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni, in una o più unità produttive nella stessa provincia, per motivi legati alla riduzione o alla trasformazione di attività o di lavoro (motivi economici o di riorganizzazione).
La disciplina del licenziamento collettivo per riduzione del personale non si applica nei seguenti casi:
- licenziamenti per motivi disciplinari o di incapacità lavorativa;
- cessazioni del rapporto di lavoro diverse dai licenziamenti (dimissioni, risoluzioni consensuali, prepensionamenti volontari);
- lavoratori delle agenzie di somministrazione.
A differenza del licenziamento collettivo per mobilità il licenziamento collettivo per riduzione del personale non richiede la previa fruizione della cassa integrazione straordinaria; i requisiti numerico-spaziali e temporali sono meno restrittivi; l’azienda deve fornire una informativa più dettagliata sui motivi dei licenziamenti.
La procedura di mobilità
La procedura di mobilità prevista sia per la messa in mobilità che per il licenziamento collettivo per riduzione del personale è un complesso iter che viene attivato quando un’azienda si trova in una situazione di eccedenza di personale e non può adottare misure alternative ai licenziamenti.
Trattasi si una procedura complessa e delicata che mira a minimizzare l’impatto sociale dei licenziamenti collettivi. Per questo è importante che tutte le parti coinvolte collaborino per trovare la soluzione migliore per i lavoratori e per l’azienda.
Essa si snoda attraverso le seguenti fasi:
- comunicazione di avvio: il datore di lavoro invia una comunicazione scritta alle organizzazioni sindacali e all’Ispettorato del lavoro, specificando i motivi dell’esubero, il numero dei lavoratori coinvolti e i tempi di attuazione del programma di mobilità;
- confronto sindacale: le organizzazioni sindacali hanno 10 giorni per presentare osservazioni e proposte alternative al licenziamento collettivo;
- accordo sindacale: se le parti raggiungono un accordo, questo definisce i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e le misure di assistenza per i lavoratori in esubero;
- mancato accordo: in assenza di accordo, il datore di lavoro redige un piano di licenziamenti che definisce i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. I lavoratori licenziati hanno diritto a una serie di tutele, tra cui l’indennità di preavviso, la NASPI e la mobilità.
L’esame congiunto
Il momento cruciale dei licenziamenti collettivi è rappresentato dall’incontro tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali per discutere i motivi del licenziamento collettivo e trovare soluzioni alternative ai licenziamenti. L’esame congiunto è un importante strumento per favorire il dialogo tra le parti e trovare soluzioni che tutelino i posti di lavoro. È importante che tutte le parti coinvolte partecipino al confronto con spirito costruttivo e collaborativo.
Anche questa fase della procedura deve seguire un iter ben preciso:
- le organizzazioni sindacali possono richiedere l’esame congiunto entro 7 giorni dalla comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo;
- il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali discutono le cause del licenziamento collettivo e cercano soluzioni alternative, come contratti di solidarietà, lavoro flessibile o riqualificazione professionale;
- l’esame congiunto deve concludersi entro 45 giorni dalla richiesta, con possibilità di proroga in casi complessi;
- l’esame congiunto può concludersi con un accordo tra le parti o con un mancato accordo;
- in caso di mancato accordo, l’Ispettorato del lavoro può tentare di conciliare le parti entro 30 giorni;
- se non si raggiunge un accordo entro 30 giorni dal tentativo di conciliazione, il datore di lavoro può procedere ai licenziamenti.
Criteri di scelta dei lavoratori da licenziare
I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, in presenza di un contratto collettivo, possono essere stabiliti dallo stesso. In mancanza, la legge fissa i seguenti criteri, in ordine di importanza:
- carico di famiglia;
- anzianità di servizio;
- esigenze tecnico-produttive ed organizzative.
La scelta dei lavoratori da licenziare è un processo complesso che deve essere condotto nel rispetto di criteri oggettivi e ragionevoli. Il datore di lavoro deve comunicare chiaramente i criteri utilizzati e rispettare i termini di preavviso per i licenziamenti.
Chiusura della procedura
Il datore di lavoro comunica per iscritto a ciascun lavoratore il licenziamento, con il rispetto dei termini di preavviso, provvede poi a comunicare all’Ispettorato del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria l’elenco dei lavoratori licenziati, specificando le modalità di applicazione dei criteri di scelta. L’Ispettorato del lavoro può verificare la correttezza dell’operato del datore di lavoro poiché ha il compito di vigilare sulla regolarità della procedura.
Impugnazione licenziamento collettivo
Gli ex dipendenti hanno il diritto di contestare una decisione di licenziamento collettivo entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione scritta. Le motivazioni per impugnare il licenziamento possono essere tre:
- mancanza della forma scritta: il datore di lavoro deve informare i lavoratori e le parti coinvolte per iscritto. Se non lo fa, il dipendente ha diritto al reintegro e a un’indennità pari a tutte le mensilità dal momento del licenziamento fino alla reintegrazione. In alternativa, può richiedere un’indennità di 15 mensilità senza tornare al lavoro;
- mancato rispetto delle procedure: se il datore di lavoro non segue le procedure legali durante la procedura di licenziamento collettivo, il lavoratore ha diritto a ricevere un’indennità che varia dalle 12 alle 24 mensilità;
- mancato rispetto dei criteri di scelta: se il datore di lavoro non rispetta i criteri di scelta stabiliti per legge o pattuiti, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione del posto (o a un’indennità sostitutiva) e a un’indennità non superiore alle 12 mensilità.