Quesito con risposta a cura di Andrea Bonanno e Umberto De Rasis
Rispetto alla costruzione di un edificio, è possibile invocare la responsabilità ex art. 2043 c.c. soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi della responsabilità ex art. 1669 c.c., purché non per superare i limiti temporali entro i quali l’ordinamento ne consente l’operatività, ovvero senza aggirare lo speciale regime di prescrizione e decadenza che la caratterizza. – Cass. II, 17 luglio 2023, n. 20450.
La vicenda scaturisce dall’appalto di lavori di copertura di alcune unità immobiliari, successivamente ai quali si verificano delle infiltrazioni. Il giudice di prime cure rileva come l’azione ex art. 1669 c.c. sia stata intentata oltre il termine annuale di prescrizione richiesto dal relativo comma 2, e che la domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. sia da considerare nuova, giacché proposta solo nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. ed ampliante il thema decidendum. Data la specialità della disciplina di cui all’art. 1669 c.c. rispetto a quella ex art. 2043 c.c., si ritiene in primo grado che quest’ultima potrebbe invocarsi solo in assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi della prima, e comunque non per derogare ai suoi limiti prescrizionali e decadenziali. Di diverso avviso il giudice dell’appello, ritenendo che la domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. non sarebbe nuova – giacché ambo le norme implicherebbero una prospettazione di responsabilità extracontrattuale –, e anzi sarebbe fondata.
La Suprema Corte viene chiamata a pronunciarsi anzitutto sull’ammissibilità della domanda ex art. 2043 c.c., benché formulata per la prima volta nella menzionata memoria e, in secundis, sulla sua riconosciuta fondatezza nonostante il difetto dei presupposti oggettivi e soggettivi richiesti, e la prescrizione della domanda ex art. 1669 c.c.
La Corte rileva come la domanda fosse ammissibile e come, per orientamento consolidato (da ultimo, Cass. Sez. Un. 3 febbraio 2014, n. 2284), vi sia compatibilità delle domande ex artt. 1669 e 2043 c.c. rispetto al medesimo evento. Più nello specifico, l’art. 1669 c.c. dà luogo ad un’ipotesi di responsabilità aquiliana perché, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini e si configura come una obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale. Si ammette il concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale tutte le volte che un unico evento dannoso nella sua genesi soggettiva (cioè: un comportamento risalente allo stesso autore) appaia in sé lesivo non solo di diritti specifici derivanti da clausole contrattuali, ma anche di diritti assoluti quali la tutela della proprietà ex art. 832 c.c. La norma ex art. 1669 c.c. è diretta, infatti, a tutelare l’interesse – pubblico e trascendente quello individuale – alla stabilità e solidità degli immobili destinati a lunga durata, nell’ottica della sicurezza dei cittadini. Si ha quindi una disciplina derogatoria rispetto a quella generale di cui all’art. 2043 c.c., sia nell’atto illecito (che deve consistere in gravi difetti di costruzione per violazione delle regole dell’arte o per vizi del suolo preesistenti) che nel danno ingiusto (consistente nella rovina dell’edificio, o nel relativo pericolo). La specialità dell’art. 1669 c.c. rispetto all’art. 2043 c.c. implica che quest’ultimo sia applicabile ove non lo sia il primo: ritenere diversamente rischierebbe di produrre un effetto distonico rispetto alla ratio di tutela dell’art. 1669 c.c., giacché il danno verificatosi oltre il decennio non sarebbe idoneo a dar luogo a responsabilità, creando una inammissibile zona franca. Come affermato già da Cass. Sez. Un. 3 febbraio 2014, n. 2284, l’art. 1669 c.c. non è infatti norma di favore per il costruttore, ma di più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale: si ha un regime di responsabilità più rigoroso rispetto a quello ex art. 2043 c.c., per la presenza della presunzione iuris tantum di responsabilità dell’appaltatore, che viene compensata da una restrizione temporale. Se la ratio del 1669 è di tutela, in assenza dei suoi presupposti sarebbe irragionevole – a fronte di una responsabilità della medesima natura – ritenere non invocabile l’art. 2043 c.c., ovviamente con l’applicazione delle relative regole (soprattutto in punto di regime probatorio). Può quindi invocarsi l’art. 2043 c.c. quando, ad esempio, il danno si sia manifestato e prodotto oltre il decennio dal compimento dell’opera. È, in definitiva, senz’altro possibile invocare la responsabilità ex art. 2043 c.c. ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi della responsabilità ex art. 1669 c.c., ma non per superare i limiti temporali entro i quali l’ordinamento ne consente l’operatività, ovvero senza aggirare lo speciale regime di prescrizione e decadenza che la caratterizza
La Suprema Corte, quindi, cassa con rinvio la decisione della Corte d’appello: a fronte dell’intervenuta prescrizione del diritto fatto valere con l’azione ex 1669 c.c. (essendo trascorso più di un anno dalla denuncia dei vizi costruttivi), accertata dal giudice di prime cure e passata in giudicato, il giudice dell’appello ha ritenuto di ammettere la tutela risarcitoria generale di cui all’art. 2043 c.c., che però non era più riconoscibile.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass. Sez. Un. 3 febbraio 2014, n. 2284 |