Quesito con risposta a cura di Danilo Dimatteo, Elisa Succu, Teresa Raimo
Nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta.
Nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato.
Nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto a un prezzo più conveniente di quello di mercato. – Cass. Sez. Un. 15 novembre 2022, nn. 33645 -33659.
L’occupazione illegittima di un immobile altrui, realizzata da un privato o da un PA, offre al proprietario leso una doppia tutela del diritto di proprietà, sia sul piano reale che su quello risarcitorio.
Con riferimento al primo viene in rilievo, evidentemente, l’azione di rivendicazione, coniata dall’art. 948 c.c., oltre alla tutela possessoria; con riferimento al secondo, invece, entra in funzione il meccanismo della responsabilità aquiliana, delineato dall’art. 2043 c.c.
Né è posto in dubbio che le due forme di tutela, pur differenziandosi, operino in sinergia assicurando al proprietario usurpato una protezione piena, integrata e completa.
Il dibattitto concerne, piuttosto, l’individuazione del danno ristorabile in sede risarcitoria per mezzo della tutela aquiliana.
Ci si domanda, infatti, quale sia il danno risarcibile in caso di occupazione abusiva dell’immobile altrui, interrogandosi non solo sull’esistenza ma anche sulla consistenza del pregiudizio subito dal proprietario occupato.
Per un primo filone ermeneutico il danno risarcibile sarebbe sempre e solo il danno-conseguenza patito dal proprietario, comprensivo sia della perdita subita che del mancato guadagno, a norma degli artt. 2056 e 1223 c.c. Spetterebbe, quindi, al proprietario-danneggiato-attore dimostrare l’entità del pregiudizio economico riportato in conseguenza della violazione del proprio diritto dominicale perché il giudice possa accogliere la domanda proposta e liquidare il risarcimento del danno dovuto dall’usurpatore-danneggiante.
Si tratta, in particolare, della tesi c.d. causale del danno che mantiene salda la dicotomia tipica della responsabilità aquiliana fondata sia sulla causalità materiale, da cui origina il danno-evento, che su quella giuridica, rivelatrice del danno-conseguenza.
Per una seconda opzione esegetica, invece, la violazione del diritto di proprietà porterebbe alla luce un danno in re ipsa, quantificabile a prescindere dalla prova concreta fornita dal proprietario danneggiato se solo si considera la natura fruttifera del bene in proprietà.
L’immobile oggetto del diritto dominicale è suscettibile, infatti, non solo di essere trasferito a titolo oneroso, quale estrinsecazione del potere di disposizione riconosciuto al proprietario, ma anche di essere concesso in godimento a terzi, attraverso un contratto di locazione o di comodato, rivelando il profilo dinamico del potere di godimento spettante altresì al proprietario, ai sensi dell’art. 832 c.c. Seguendo tale prospettiva, dunque, la sussistenza del diritto al risarcimento ben può essere determinata dal giudice sulla base di elementi presuntivi, facendo riferimento al c.d. danno figurativo, con riguardo al valore locativo del cespite abusivamente occupato.
Nell’ipotesi di occupazione abusiva, in definitiva, il danno patito dal proprietario è presuntivamente correlato alla fruttuosità dell’immobile, ossia al canone di locazione di mercato di un immobile analogo.
Trattandosi di una presumptio hominis, iuris tantum, la quantificazione del danno parametrata al valore locativo ben può essere superata, peraltro, da allegazioni e dimostrazioni specifiche provenienti o dall’attore danneggiante, che fornisca la prova concreta di un maggior danno, o dal convenuto danneggiato, che dimostri come nel caso di specie il proprietario abbia subito un minor danno o non abbia patito alcun danno.
Si tratta, d’altronde, di un indirizzo avallato anche dal giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato 897/2017 e 3428/2019) che, con un analogo percorso motivazionale, raffronta il danno da occupazione sine titulo al valore locativo di mercato del bene, discorrendo apertamente di danno in re ipsa.
Questa seconda ricostruzione ammicca, invero, alla teoria normativa del danno, di origine tedesca, secondo cui l’oggetto del danno coincide con il contenuto del diritto violato: il danno è in re ipsa, quindi, perché immanente appunto alla violazione del diritto.
Tale tesi si espone, tuttavia, alla facile obiezione di estromettere del tutto il danno-conseguenza per arrestare l’illecito aquiliano al mero danno-evento, attribuendo all’obbligo risarcitorio una funzione sanzionatoria che normalmente le è priva sì da far temere per l’introduzione di un danno punitivo extra legem.
L’evidenza del contrasto interpretativo ha portato, da ultimo, il giudice della nomofilachia a rimettere la questione alle Sezioni Unite, per mezzo di ben due ordinanze interlocutorie (Cass., sez. III, 17 gennaio 2022, n. 1162 e Cass., sez. II, 8 febbraio 2022, n. 3946).
Le sentenze della Cass. Sez. Un. 15 novembre 2022, nn. 33645 e 33659 risolvono la questione con una motivazione ricca, completa e sistematica che ripercorre lucidamente le due tesi proposte e ricostruisce il quadro generale della tutela reale e aquiliana del diritto di proprietà.
Dopo aver distinto le regole di proprietà (property rules) dalle regole di responsabilità (liability rules), orientate le une al futuro e le altre al passato, la Corte ribadisce con forza che l’azione risarcitoria non può coincidere con quella di rivendicazione, dovendosi modellare sulla struttura propria della fattispecie descritta dall’art. 2043 c.c. In aggiunta alla violazione del diritto di proprietà – id est il danno-evento – deve verificarsi, dunque, l’esistenza dell’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile, ossia il danno-conseguenza.
Ciò significa tenere ferma la distinzione, espressione della teoria causale del danno, fra causalità materiale e causalità giuridica, quale acquisizione risalente della giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 576 e Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972), confermando che «se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria».
In tale prospettiva, la tesi del danno in re ipsa, una volta depurata dall’antesignano storico di matrice tedesca, non rinnega, invero, il danno-conseguenza, bensì si limita a introdurre un alleggerimento del carico probatorio gravante sul proprietario danneggiato per mezzo del meccanismo generale delle presunzioni tracciato dagli artt. 2727 e ss. c.c.
Si intende individuare, in tal modo, un punto di mediazione fra la teoria normativa del danno e quella della teoria causale, salvaguardando la distinzione tra la tutela reale e quella risarcitoria che l’ordinamento appresta al diritto di proprietà.
La teoria del danno in re ipsa non esautora, infatti, il requisito necessario del danno-conseguenza, accorciando la responsabilità civile al presupposto del solo danno-evento con l’esito di parificarla, in definitiva, alla tutela reale, ma si limita a intervenire sul piano probatorio-processuale, senza intaccare in alcun modo la struttura della fattispecie aquiliana.
In tal senso, allora, le Sezioni Unite suggeriscono di sostituire alla locuzione “danno in re ipsa” quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.
Un’esplicita indicazione normativa in favore della liquidazione presuntiva del danno patrimoniale subito dal proprietario proviene, invero, dalla stessa legislazione in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 327/2001). La determinazione legislativa in via forfettaria dell’indennizzo, senza esigere dal proprietario l’allegazione della mancata possibilità di godimento nel periodo di occupazione senza titolo, salva la possibilità per entrambe le parti del giudizio di dimostrare la diversa entità del danno in concreto (in melius o in pejus rispetto a quel limite), costituisce, infatti, una valutazione legale tipica di pregiudizio e di relativa compensazione.
Ebbene, qual è il danno presunto o il danno normale in caso di occupazione abusiva di un immobile altrui? Il valore locativo di mercato del bene. Tale parametro di liquidazione ben può essere allegato specificamente dal proprietario-danneggiato; del pari, in assenza di una prova precisa, assurge presuntivamente a metro di misura per il giudice, chiamato a svolgere una valutazione equitativa del danno-conseguenza a norma dell’art. 1226 c.c., fermo restando la possibilità per entrambe le parti del giudizio di fornire una prova concreta, volta a ottenere una liquidazione in melius o in peius del danno concretamente risarcibile nel caso di specie.