Quesito con risposta a cura di Federico Cavalli, Nicolò Pignalosa, Vincenza Urbano
L’eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di furto per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità costituisce il diverso reato di rapina quale logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione del furto, avendo il reo, unitamente al proprio complice, usato un’energia fisica che ha limitato la persona offesa nei propri movimenti, consentendo – quale effetto – l’impossessamento definitivo del bene alla medesima sottratto. – Cass. pen., sez. II, 15 novembre 2022, n. 43424.
Nel concorso anomalo, disciplinato dall’art. 116 del Codice penale, taluno dei concorrenti, nell’eseguire un programma criminoso o un accordo, pone in essere un reato differente da quello concordato o voluto dagli altri correi.
Dalla norma si evincono due profili. Da un lato, emergono la consapevolezza e la volontà di concorrere con altri nella realizzazione del reato che era oggetto dell’accordo; non si configura, quindi, responsabilità qualora il concorrente versi in errore sul fatto rispetto al reato stabilito inizialmente. Dall’altro lato, sussiste il nesso di causalità tra la condotta attiva od omissiva e il differente reato realizzato.
È stata, peraltro, superata quella parte di dottrina che inquadrava il concorso anomalo nell’alveo della responsabilità oggettiva, secondo cui si estendeva al concorrente la responsabilità a titolo di dolo per il reato non voluto sulla base del solo nesso materiale tra l’azione od omissione del soggetto che volle il reato meno grave e l’evento diverso posto in essere da un altro concorrente.
La tesi prevalente, al contrario, afferma che la norma in esame risponde al principio di colpevolezza in ragione della causalità psichica, la quale giustifica l’imputazione del reato diverso a coloro che non lo vollero. Si tratta di un requisito che non si ricava dalla formulazione letterale della disposizione, poiché è stato introdotto in via interpretativa.
In particolare, l’adesione psichica va intesa quale nesso psicologico in termini di prevedibilità del più grave reato commesso da parte del compartecipe: nella psiche dell’agente, cioè, il reato diverso e più grave può astrattamente rappresentarsi come sviluppo logicamente e concretamente prevedibile di quello voluto.
Occorre, pertanto, valutare la prevedibilità in concreto dell’evento diverso non voluto attraverso un giudizio ex post che analizzi sia le modalità concrete ed effettive di esecuzione del reato sia altre circostanze del fatto ritenute rilevanti. In tale prospettiva, la responsabilità è qualificata come “anomala”, in quanto il ricorrente è chiamato a rispondere a titolo di dolo sulla base di un atteggiamento che viene ricostruito come colposo.
Con riferimento alla rapina impropria di cui al comma 2 dell’art. 628 cod. pen., l’agente, immediatamente dopo la sottrazione della res, adopera la violenza o la minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso del bene sottratto o per procurare l’impunità a sé o ad altri.
Si osserva che la violenza o la minaccia possono essere esercitate sia contro la vittima sia contro un terzo che comunque potrebbe determinare la perdita del possesso della cosa sottratta, come ad esempio gli agenti della forza pubblica. Il requisito della immediatezza della violenza e della minaccia, inoltre, non va interpretato in senso rigorosamente letterale, senza l’intercorrere di alcun lasso di tempo, bensì come uno stretto legame psicologico e temporale. Infine, al concetto di impunità va attribuito un significato ampio, tale da comprendere l’attività volta a sottrarsi a tutte le conseguenze penali e processuali del reato commesso.
Nel caso di specie, l’agente, in concorso con persona rimasta ignota, immediatamente dopo aver sottratto un autocarro, speronava sia il veicolo della persona offesa sia l’auto di servizio della Polizia di Stato per assicurarsi il possesso della cosa sottratta e l’impunità. In particolare, per le circostanze di tempo e di luogo e in relazione al principio dell’id quod plerumque accidit, per i due correi risultava prevedibile l’inseguimento scaturito dal furto dell’autocarro, poiché era altamente probabile che sarebbero accorsi vigilanti o forze dell’ordine.
Sicché, la Corte di Cassazione ha statuito che il soggetto “quand’anche non avesse in concreto previsto il fatto più grave, avrebbe potuto tranquillamente rappresentarselo come sviluppo logicamente prevedibile dell’azione convenuta facendo uso, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza”.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass. pen., sez. II, 6 ottobre 2016, n. 45446, Di Pasquale, rv. 268564; Cass. pen., sez. II, 18 giugno 2013, n. 32644, Alic, rv. 256841; Cass. pen., sez. II, 3 gennaio 2018, n. 49443, Jamarishvili, rv. 274467; Cass. pen., sez. V, 18 novembre 2020, n. 306, rv. 280489; Cass. pen., sez. I, 15 novembre 2011, n. 4330, n. 2012, Camko, rv. 251849 |