Esonero dall’assegno di mantenimento
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Napoli aveva escluso che permanesse in capo all’ex marito il dovere di versare l’assegno di mantenimento alla madre in favore delle figlie, laureate e maggiorenni, poiché il venir meno della convivenza delle figlie con la madre aveva costituito una condizione determinativa del venir meno della legittimazione di quest’ultima ad ottenere il versamento dell’assegno di mantenimento della prole da parte del padre.
La sospensione dei termini processuali
Avverso la decisione adottata dal giudice di merito, il padre aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
La sezione ordinaria della Corte investita del ricorso, valutata la questione pregiudiziale relativa alla tempestività del mezzo, aveva chiesto l’assegnazione della questione alle Sezioni Unite.
Il tema pregiudiziale prendeva avvio dal fatto che il ricorso era stato proposto diversi mesi dopo rispetto alla data di notifica dello stesso alla controparte, facendo emergere il dubbio interpretativo se “alle liti in materia di mantenimento per i figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti sia applicabile, o meno, la sospensione dei termini processuali prevista dagli artt. 3 della legge n. 742 del 1969 e 92, primo comma, dell’ord. giud.”.
La sezione rimettente ha evidenziato come, la soluzione interpretativa che si intende adottare nel caso di specie è condizionata dal significato da attribuire alla locuzione “cause civili relative ad alimenti” contenuta dalla suddetta norma e relativa agli affari civili da trattare anche durante il periodo feriale, poiché sottratti alla sospensione dei termini.
Il contrasto giurisprudenziale
Invero, sull’argomento è stato registrato un contrasto giurisprudenziale in seno alla Corte stessa, a seguito di un recente intervento del Giudice di legittimità, il quale ha stabilito che, nelle cause in materia di mantenimento del coniuge debole e dei minori, non è applicabile la sospensione feriale dei termini processuali e che le stesse sarebbero pertanto assimilabili ai contenziosi in materia di alimenti non soggette alle pause processuali obbligatorie.
La Suprema Corte, nella sua massima composizione, dopo aver ripercorso gli orientamenti giurisprudenziali e la normativa di riferimento ha affermato che “Poiché l’assegno divorzile non si può equiparare all’assegno alimentare, essendo diverse la natura e le finalità proprie dei due tipi di assegno, in nessuna delle controversie concernenti l’assegno divorzile può trovare applicazione l’esclusione dalla sospensione dei termini durante il periodo feriale prevista dall’articolo 3 della legge n. 742 del 1969, in relazione all’articolo 92, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, riguardo alle cause relative agli alimenti”.
Secondo l’opposta interpretazione, invece, la normativa emergenziale, introdotta a seguito della pandemia Covid-19, avrebbe sottratto entrambe le suddette fattispecie alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale.
Le Sezioni Unite non hanno tuttavia condiviso tale orientamento in quanto “nell’elenco delle cause alle quali la sospensione non è applicabile non compaiono quelle relative ad alimenti”; quest’ultime, spiega la Corte, sono infatti distinte dalle cause di separazione o di divorzio, le quali certamente rispondono alle necessità di sopperire ai bisogni di vita della persona, ma in un’accezione più ampia da quella sottesa alla prestazione alimentare strettamente intesa.
La decisione delle Sezioni Unite della Cassazione
Rispetto alle differenze sopra evidenziate, la Corte ha dunque ritenuto che la normativa emergenziale, pur facendo riferimento alle “cause relative ai diritti delle persone minorenni, al diritto all’assegno di mantenimento, agli alimenti e all’assegno divorzile”, oltre ad avere natura transitoria era anche destinata a stabilire quali fossero le eccezioni alla generale regola della sospensione processuale durante il periodo feriale, configurandosi in questo senso come una normativa specifica e a termine con l’esclusiva finalità di tutelare la salute pubblica in un particolare momento storico.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 12946-2024, ha dunque dichiarato inammissibile il ricorso e ha rimesso gli atti alla prima sezione civile per l’esame dei singoli motivi.