Civile, Civile - Primo piano

Vendita aliud pro alio: i chiarimenti della Cassazione Si ha vendita aliud pro alio se il bene consegnato, appartenendo ad un genere diverso da quello pattuito, si riveli funzionalmente inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa

vendita aliud pro alio

Inadempimento per vendita aliud pro alio

La vicenda in esame prende avvio dall’inadempimento di un fornitore di calcestruzzo, rispetto al quale la società cliente aveva agito in giudizio per far valere la responsabilità contrattuale dello stesso. Il Tribunale adito concludeva il proprio esame affermando, per quanto qui rileva, la sussistenza di un’ipotesi di vendita aliud pro alio.

Avvero tale decisione il fornitore aveva proposto ricorso presso la Corte d’Appello di Perugia per accertare l’erronea qualificazione dell’inadempimento quale consegna di aliud pro alio.

Il Giudice di secondo grado aveva ridotto l’entità del risarcimento del danno e aveva confermato gli esiti del Tribunale in ordine alla qualificazione dell’inadempimento del fornitore in termini di vendita di aliud pro alio.

Tale decisione veniva impugnata dal fornitore che aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione con un unico motivo svolto denunciando, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’articolo 111, sesto comma, cost, per avere la Corte di merito adottato una motivazione apparente nel confermare la sentenza di primo grado quanto alla integrazione di una ipotesi di vendita di aliud pro alio per la fornitura di calcestruzzo di minor resistenza, inidoneo all’uso previsto, sulla scorta del rinvio agli accertamenti peritali eseguiti.

Vendita aliud pro alio e mancanza di qualità promesse

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13214-2024, ha accolto il motivo di ricorso e ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

In particolare, la Corte ha riferito che, nel caso in esame, dalle risultanze della sentenza impugnata “il bene alienato (…) non era comunque sfruttabile (recte “idoneo”) per la sua destinazione (…), senza che sia stato precisato il quomodo della genericamente richiamata inidoneità e senza che sia emerso che, in conseguenza della sua natura, sia stata comunque compromessa la ratio giustificativa per la quale il negozio era stato stipulato”.

La Corte ha chiarito che, in tema di compravendita “il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse o essenziali (1497 c.c.), presupponendo l’appartenenza della cosa al genere pattuito, differiscono dalla consegna di aliud pro alio, che si determina quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti”.

Al contrario, viene in rilievo l’ipotesi di vendita aliud pro alio, che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c., se “il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l’utilità presagita”.

Il principio di diritto

Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’appello, la quale dovrà decidere uniformandosi al seguente principio di diritto “Sussiste consegna di aliud pro alio, che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 del codice civile, qualora il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l’utilità presagita. Questo è il principio affermato dalla Corte di cassazione con ordinanza del 14 maggio 2024, n. 13214”.

Allegati

Tutti gli articoli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *