L’onere della prova nell’art. 2697 c.c.
L’art. 2697 c.c. disciplina l’onere della prova, disponendo che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti, o eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui tale eccezione si fonda.
Nel corso del tempo, la giurisprudenza in tema di onere della prova ha definito meglio i contorni della corretta applicazione dell’art. 2697 c.c., come vedremo in questa breve rassegna di sentenze della Corte di Cassazione.
Le Sezioni Unite sull’onere della prova
Da un lato, quindi, la regola generale prevede che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provarne i fatti costitutivi, mentre chi tale diritto contesta deve dare dimostrazione dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi dello stesso; dall’altro lato, la giurisprudenza sull’art. 2697 c.c. ha talvolta reso tale regola meno rigorosa.
Viene in mente, innanzitutto, il c.d. principio di vicinanza della prova, secondo cui l’onere della prova riguardo a un determinato fatto dovrebbe ricadere sul soggetto che ha la disponibilità degli elementi probatori che occorrono alla sua dimostrazione.
Secondo tale principio, più volte invocato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stato chiarito, ad esempio, che in tema di inadempimento contrattuale o di inesatto adempimento, per il creditore sia sufficiente dimostrare la fonte del proprio credito e limitarsi ad allegare l’inadempimento da parte del debitore; su quest’ultimo, invece, ricadrà l’onere della prova dell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, quale fatto estintivo del diritto vantato dal creditore (cfr. Cass., SS.UU., n. 13533/2001).
Cassazione e principio di vicinanza della prova
Il principio di prossimità della prova ha trovato mitigazione nella stessa giurisprudenza di Cassazione sull’art. 2697 c.c., che ha specificato che tale principio rappresenta un’eccezionale deroga al canonico regime della ripartizione dell’onere della prova, e pertanto non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti, ad esempio in ambito bancario, ma esige l’impossibilità dell’acquisizione simmetrica della prova (quindi tale principio non può trovare applicazione quando il cliente sia in possesso di una copia del contratto bancario) (cfr. Cass. n. 6511/2016 e n. 17923/2016).
Un altro rilevante ambito in cui è importante individuare il soggetto su cui ricade l’onere della prova è la garanzia per vizi nella compravendita.
In tal caso, le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 11748/2019, sottolineando il carattere garantistico di tale obbligazione, hanno chiarito che l’esistenza dei vizi della cosa deve essere dimostrata dal compratore, in quanto soggetto che ha la disponibilità del bene.
Art. 2697 c.c. e giurisprudenza: valore probatorio della fattura
Su un diverso piano, una recente pronuncia della Corte di Cassazione definisce, invece, i contorni dell’onere della prova quando questo sia assolto attraverso la produzione in giudizio di una fattura.
La Suprema Corte ha, infatti, contraddetto la pronuncia di un tribunale che aveva ritenuto che l’onere probatorio a cui il creditore istante era tenuto non potesse ritenersi convenientemente assolto attraverso la produzione delle fatture, dato che le stesse costituivano una documentazione predisposta dalla stessa parte ricorrente.
Al riguardo, gli Ermellini hanno rilevato che, consistendo la fattura commerciale in una dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito, è vero che, quando tale rapporto sia contestato fra le parti, la fattura non può costituire un valido elemento di prova delle prestazioni eseguite, potendo al massimo costituire un mero indizio.
“Tuttavia” – evidenzia il provvedimento – “nel caso in cui non vi sia contestazione fra le parti rispetto al rapporto in essere fra loro, la fattura può costituire un valido elemento di prova quanto alle prestazioni eseguite, specie nell’ipotesi in cui il debitore abbia accettato, senza contestazioni, le fatture stesse nel corso dell’esecuzione del rapporto (Cass., ord. n. 949 del 10 gennaio 2024).