Quesito con risposta a cura di Alessia Bruna Aloi, Beatrice Doretto, Antonino Ripepi, Serena Suma e Chiara Tapino
L’art. 168bis, comma 4, c.p. è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nelle ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p., con altri reati per i quali detto beneficio sia stati già concesso. – Corte Cost. 12 luglio 2022, n. 174.
La questione di costituzionalità rimessa al vaglio della Consulta trae origine dal procedimento penale avviato a carico di due soggetti, imputati ex art. 73, comma 5 del D.P.R. 309/1990 per aver effettuato una serie di cessioni di sostanza stupefacente. All’udienza preliminare, la difesa degli imputati ha chiesto la sospensione del procedimento penale con messa alla prova ai sensi dell’art. 168bis c.p. Beneficio, questo, che non è stato accordato dal giudicante perché, secondo il tenore letterale del quarto comma della disposizione, “la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta”: infatti, il Gup ha rilevato come gli imputati si erano già avvalsi del beneficio dell’art. 168bis c.p. in altro procedimento penale, relativo ad episodi di spaccio, commessi in epoca coeva a quelli contestati nel giudizio a quo e ad essi avvinti dal vincolo della continuazione, con conseguente impossibilità di nuova concessione della messa alla prova.
Sulla scorta di quanto precede, il Giudice rimettente ha riscontrato un’irragionevole disparità di trattamento sottesa alla norma in commento: sebbene l’art. 168bis citato ammetta pacificamente che, in caso di simultaneus processus avente ad oggetto più fatti di reato, il Giudice possa riconoscere il vincolo della continuazione e giungere all’estinzione di tutte le fattispecie penali commesse nell’ambito del medesimo disegno criminoso per esito positivo della messa alla prova, a soluzione opposta si giunge nei casi in cui, per scelta processuale del Pubblico Ministero o per tempistica processuale, i reati commessi in continuazione vengano contestati in procedimenti differenti e uno di essi si concluda con l’estinzione ex art. 168bis c.p.
Detto altrimenti, secondo l’applicazione letterale del quarto comma della norma, la sentenza che dichiara l’estinzione di un procedimento penale per esito positivo della messa alla prova consuma definitivamente ed irrimediabilmente l’unica possibilità di usufruire di detto benefico, con la conseguenza che, in caso di parcellizzazione dei procedimenti penali, eventuale nuova richiesta ai sensi dell’art. 168bis c.p. sarà destinata all’inevitabile declaratoria di inammissibilità, a nulla rilevando neppure la presenza di ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. tra i due procedimenti.
Di qui la questione legittimità costituzionale dell’art. 168bis c.p. in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
La Consulta è, dunque, chiamata a verificare se l’attuale tenore letterale della norma richiamata contempli una disparità di trattamento tra l’imputato sottoposto a simultaneus processus in relazione a reati connessi ex art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. – il quale potrebbe usufruire della sospensione del procedimento con messa alla prova per tutti i reati contestatigli – e l’imputato che affronta giudizi distinti (ancorché connessi), che invece avrebbe diritto a richiedere il beneficio solo la prima (e unica) volta.
Esaminata la propria giurisprudenza, la Corte Costituzionale rileva come preclusioni analoghe a quella in esame sono state già dichiarate costituzionalmente illegittime da sentenze risalenti. Si pensi, fra tutte, all’ipotesi della sospensione condizionale della pena prevista dagli artt. 164, comma 2, n. 1) e 168 c.p. che, nella precedente formulazione, prevedevano che il giudice non potesse esercitare il potere di concedere o negare il beneficio in parola, ovvero dovesse revocarne il diritto di esercizio qualora fosse stato già concesso, quando il secondo reato fosse legato dal vincolo della continuazione a quello punito con pena sospesa.
La Consulta già allora aveva osservato la presenza di un’illegittima disparità di trattamento: la circostanza che il primo giudice non aveva notizia che l’imputato aveva, in continuazione, ancora violato la legge penale, non poteva impedire al secondo giudice di compiere gli apprezzamenti che avrebbe fatto il primo e imporgli di sostituire, al suo libero convincimento, una presunzione legale di inopportunità della sospensione (Corte Cost. 10 giugno 1970, n. 86).
Il principio richiamato produce significative conseguenze anche per la soluzione della questione in esame.
Infatti, la preclusione posta dall’art. 168bis, comma 4, c.p. non osta a che uno stesso imputato possa essere ammesso al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova qualora gli vengano contestati più reati nell’ambito del medesimo procedimento (sempre che i limiti edittali di ciascuno di essi siano compatibili con la concessione del beneficio).
Ciò vale anche nel caso specifico in cui tali reati siano avvinti dalla continuazione, essendo stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso: in una tale situazione, poiché l’ordinamento considera unitariamente i reati ai fini sanzionatori, prevedendo l’inflizione di una sola pena che tenga conto del loro complessivo disvalore, appare logico che, ove tutti i singoli reati siano compatibili con il beneficio della messa alla prova, l’imputato possa essere ammesso ad un percorso unitario di risocializzazione e riparazione, nel quale si sostanzia il beneficio medesimo e il cui esito positivo comporta l’estinzione dei reati contestati.
In buona sostanza, in ipotesi come quella verificatasi nel giudizio a quo, se tutti i reati commessi in continuazione fossero stati contestati nell’ambito di un unico procedimento, i relativi imputati ben avrebbero la possibilità di chiedere e – sussistendone tutti i presupposti – di ottenere il beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione a tutti i reati, il cui esito positivo avrebbe determinato l’estinzione dei reati medesimi; al contrario, ove per scelta del pubblico ministero o per altre evenienze processuali i reati avvinti dalla continuazione vengano contestati in distinti procedimenti, gli imputati non avrebbero più la possibilità, nel secondo procedimento, di chiedere ed ottenere la messa alla prova, allorché siano stati già ammessi al beneficio nel primo.
Ciò equivarrebbe a far dipendere la possibilità di accedere a uno dei riti alternativi previsti dal legislatore dalle scelte contingenti del pubblico ministero o da circostanze casuali, sulle quali l’imputato stesso non può in alcun modo influire, di fatto determinando un’irragionevole disparità di trattamento.
È evidente allora l’irragionevolezza del quarto comma dell’art. 168bis, comma 4, c.p.
Non solo.
L’irragionevolezza della disposizione in esame, secondo le rilevazioni della Corte Costituzionale, emergerebbe anche sotto un altro profilo. Infatti, la preclusione prevista dal quarto comma citato, applicata ad ipotesi di contestazione “asincrona” di reati avvinti dal vincolo della continuazione finirebbe per frustrare sia la ratio dell’istituto del reato continuato, sia la ratio del beneficio della messa alla prova.
Per ciò che riguarda il primo aspetto, la Corte osserva che l’intento legislativo sotteso alla previsione dell’art. 81 cpv. c.p. è proprio quello di sanzionare in maniera unitaria il reato continuato con una mitigazione della risposta sanzionatoria giustificata dal minor disvalore sociale attribuito alla commissione di più fattispecie criminose in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Mitigazione, questa, che ai sensi dell’art. 671 c.p.p. può essere riconosciuta anche nelle ipotesi in cui i reati siano stati giudicati separatamente con sentenze o decreti penali irrevocabili.
Va da sé che la preclusione posta dall’art. 168bis, comma 4, c.p., impedendo di riconoscere il beneficio della sospensione del procedimento penale con messa alla prova nell’ambito del secondo giudizio pendente per fattispecie delittuose connesse ad altri reati dichiarati estinti per concessione ed esito positivo della messa alla prova, è in aperto contrasto con la funzione e lo scopo dell’intera disciplina del reato continuato.
Analoghe conclusioni devono trarsi anche in riferimento al secondo aspetto, concernente la contrarietà della preclusione alla funzione specialpreventiva della stessa messa alla prova: infatti, l’impossibilità di accedere due volte al beneficio, esclusivamente con riferimento alle ipotesi di continuazione o concorso formale di reati, cozza con lo scopo stesso dell’istituto, teso al bilanciamento tra l’esigenza di punire un soggetto che ha commesso un reato, con quella di risocializzare, rieducare e restituire al mondo una personalità non più deviata.
Il tutto senza considerare che il limite alla concedibilità una tantum del beneficio non era previsto nell’impianto normativo originario dell’art. 168bis e non è oggi previsto nella parallela disciplina della messa alla prova dell’imputato minorenne.
Sulla base delle considerazioni svolte, la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 168bis, comma 4, c.p. per contrasto con il principio di eguaglianza perché, così formulato, importerebbe un’inaccettabile disparità di trattamento tra l’imputato a cui tutti i reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso vengano contestati nell’ambito di un unico procedimento, nel quale egli ha la possibilità di accedere al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, e l’imputato nei cui confronti l’azione pena venga inizialmente esercitata solo in relazione ad alcuni reati e che si veda contestare gli altri, per effetto di una scelta discrezionale del pubblico ministero o per altre evenienze processuali, nell’ambito di un diverso procedimento penale, dopo che egli abbia già avuto accesso alla messa alla prova, con conseguente impossibilità di ottenere una seconda volta il beneficio.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Corte Cost. 86/1970; Corte Cost. 108/1973; Corte Cost. 267/1987; Cass. 14112/2015 |