Quesito con risposta a cura di Mariarosaria Cristofaro e Valentina Russo
L’art. 416ter, c.p., secondo la vigente formulazione cui bisogna far riferimento ratione temporis, incrimina l’accordo in forza del quale due o più soggetti si scambiano la promessa del procacciamento di voti presso l’elettorato – con modalità tipicamente mafiose – e l’erogazione di un corrispettivo in denaro o in altre utilità. Trattandosi di un reato di pericolo non è rilevante se il sostegno elettorale porti, o meno, ad un risultato positivo e, peraltro, l’esistenza dell’intesa per il procacciamento di consensi elettorali può desumersi anche mediante la valorizzazione di indici fattuali, sintomatici della natura dell’accordo. – Cass., sez. I, 14 marzo 2023, n. 10704.
La questione posta al vaglio della Suprema Corte riguarda la configurabilità del reato di scambio elettorale politico-mafioso di cui all’art. 416ter c.p., con particolare riferimento alla sussistenza di un sinallagma contrattuale illecito.
Nel caso di specie il Tribunale in funzione di giudice del riesame aveva rigettato la richiesta presentata nell’interesse dell’indagato in relazione al provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari.
La vicenda trae origine da un accordo, concluso tra l’odierno ricorrente e un esponente di un’associazione criminale di tipo mafioso, avente ad oggetto la promessa del procacciamento di voti in occasione delle elezioni amministrative in cambio della promessa di una sistemazione lavorativa e di altre utilità a beneficio del figlio dell’esponente del clan in questione.
L’imputato, a mezzo del suo difensore, ha presentato ricorso per cassazione denunciando un vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di un sinallagma contrattuale illecito. La difesa ha censurato la decisione del Tribunale anche per aspetti strettamente processuali, quali la manifesta illogicità della motivazione in punto di gravità indiziaria, l’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali per insussistenza della connessione qualificata ex art. 12, c.p.p., nonché la carenza della motivazione in tema di esigenze cautelari.
La Corte di Cassazione, pur ritenendo alcune deduzioni difensive non ammissibili in sede di legittimità in quanto integralmente versate in fatto, ha analizzato l’ambito applicativo dell’art. 416ter, c.p. richiamando, inevitabilmente, le varie formulazioni che si sono susseguite nel tempo.
Come anticipato, l’art. 416ter, c.p. punisce l’accordo in forza del quale più soggetti si scambiano la promessa del procacciamento di voti presso l’elettorato e l’erogazione di un corrispettivo in denaro o altra utilità, avvalendosi del vincolo di assoggettamento ed intimidazione derivante dall’appartenenza ad un sodalizio di tipo mafioso.
L’art. 416ter, c.p. è stato introdotto nel codice penale dal D.L. 8 giugno 1992, n.306, sotto la spinta emergenziale delle stragi di mafia, al fine di colpire già nella fase genetica l’insaturazione di rapporto tra il mondo della politica e quello dei sodalizi criminali. Tale disposizione è stata oggetto di significative modifiche, dapprima con la L. 17 aprile 2014, n. 62 e, da ultimo, con la L. 21 maggio 2019, n. 43.
La L. 62/2014 è intervenuta sia sul piano della condotta incriminata (notevolmente ampliata rispetto alla formulazione previgente), sia su quello della pena edittale comminata. In particolare, è stato espressamente specificato che l’oggetto della pattuizione illecita debba includere le modalità di acquisizione del consenso elettorale, tramite metodo mafioso come descritto nell’art. 416bis, comma 3, c.p., non essendo sufficiente il mero accordo sulla promessa di voti in cambio di denaro (in tal senso Cass. 31 agosto 2016, n. 36079). Il legislatore, quindi, ha introdotto un requisito modale dell’accordo che deve essere specificatamente accertato, ossia il vincolo di assoggettamento ed intimidazione derivante dall’appartenenza al sodalizio mafioso.
La novella legislativa, incriminando anche la condotta del soggetto che promette di procacciare i suffragi, ha trasformato il reato da plurisoggettivo improprio a plurisoggettivo proprio e, infine, ha ampliato l’oggetto della prestazione che non è più circoscritto al solo denaro, ma è esteso «ad altre utilità».
Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio ha così motivato l’infondatezza dei primi motivi di ricorso, con i quali la difesa ha contestato un vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di un sinallagma contrattuale illecito e la manifesta illogicità della motivazione in punto di gravità indiziaria.
Più precisamente, la Prima Sezione, tenendo conto dell’epoca in cui si colloca il fatto ascritto all’indagato, ha precisato che ai fini della configurabilità dell’art. 416ter c.p. rileva la mera promessa. Inoltre, nel richiamare un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha ribadito che l’esistenza dell’intesa per il procacciamento di consensi elettorali con ricorso a modalità mafiose può desumersi anche in via indiziaria, mediante la valorizzazione di indici fattuali, quali la fama criminale del procacciatore, l’assoggettamento alla forza intimidatrice e l’utilità di tale apporto per il reclutamento elettorale nella zona d’influenza (così anche Cass. 14 giugno 2019, n. 26426).
La Corte, quindi, ha ritenuto il provvedimento impugnato non affetto da manifesta illogicità soprattutto alla luce della prova della consapevolezza del metodo mafioso. Invero, trattandosi di un reato di pericolo, è sufficiente che il procacciatore eserciti un condizionamento diffuso, fondato sulla prepotenza e sopraffazione – risultando irrilevante il raggiungimento di un risultato positivo – e che il politico sia consapevole dell’appartenenza dell’interlocutore a un sodalizio di tipo mafioso.
Da ultimo, la difesa ha contestato anche l’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali per insussistenza della connessione qualificata – ex art. 12, c.p.p. – tra il reato di cui all’art. 416bis c.p. e quello di cui all’art. 416ter c.p.
I giudici di legittimità hanno invocato il principio affermatosi con le Sezioni Unite Cavallo (Cass. Sez. Un. 2 gennaio 2020, n. 51) secondo cui il divieto imposto dall’art. 270, c.p.p. non opera quando tra i reati vi sia connessione qualificata, con la conseguenza che il provvedimento autorizzativo delle intercettazioni può essere validamente ricondotto ad un reato diverso da quello per cui è stato espressamente rilasciato (fermo restando che si tratti di fattispecie inclusa nel novero di cui all’art. 266 c.p.p.).
Ciò premesso, nel disattendere questo motivo di doglianza, è stato ribadito che quando si parla di reato si fa riferimento non al “titolo di reato”, ma al “fatto-reato” (inteso come determinato accadimento storico inquadrabile in una fattispecie criminosa) e che il rapporto di connessione qualificata riguarda i “fatti-reato” nella loro espressione oggettiva.
In particolare, essendo applicabile la previgente formulazione dell’art. 270 c.p.p., i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per gli ulteriori fatti-reati, legati al primo dal vincolo della continuazione ex art. 12, lett. b), c.p.p., senza la necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi (in tal senso Cass. 29 settembre 2021, n. 37697).
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., sez. V, 14 giugno 2019, n. 26426 |