Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Chiara Tapino
I saggi di interesse usurari – che non siano stati pattuiti originariamente, ma siano sopraggiunti in corso di causa – costituiscono in ogni caso importi indebiti. Il creditore che voglia interessi divenuti nel corso del rapporto in misura ultra-legale pretenderebbe per ciò stesso l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata: il suo comportamento sarebbe contrario al generale principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti comportamenti collaborativi, anche in sede di esecuzione del contratto. – Cass., sez. III, 28 settembre 2023, n. 27545.
Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la legittimità di interessi divenuti usurari nel corso del rapporto di credito.
In primo e secondo grado era stata respinta la questione inerente all’usura sopravvenuta degli interessi relativi ad un rapporto di conto corrente, in quanto le parti non avevano allegato specificatamente né che tali interessi fossero frutto di eventuale diversa pattuizione, né che la pretesa del tasso di interesse concordato fosse contraria a buona fede. I Giudici di merito, infatti, si erano conformati a quanto stabilito da Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2017, n. 24675, secondo cui «è priva di fondamento la tesi della illiceità della pretesa di interessi a un tasso che, pur non essendo superiore, alla data della pattuizione, alla soglia dell’usura, superi tuttavia tale soglia al momento della sua maturazione o del pagamento degli interessi stessi».
Viene proposto ricorso per Cassazione, contestando la mancata dichiarazione di nullità dei saggi di interesse usurari successivi alla conclusione del contratto.
In particolare, si rilevava che, pur trattandosi di interessi usurari non previsti al momento dell’instaurazione del rapporto contrattuale, l’ordinamento giuridico deve considerarli come indebiti.
La Suprema Corte, nella decisione de qua, ha innanzitutto ricordato quanto previsto da Cass., Sez. Un., 18 settembre 2020, n. 19597, secondo cui, in relazione agli interessi moratori, «in tema di contratti di finanziamento, l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati; tuttavia, mentre nel primo caso si deve avere riguardo al tasso soglia applicabile al momento dell’accordo, nel secondo la valutazione di usurarietà riguarderà l’interesse concretamente praticato dopo l’inadempimento».
La Suprema Corte, facendo proprio tale principio, rileva che, laddove nel corso del rapporto maturino interessi in misura ultra-legale, non potranno essere pretesi dal creditore poiché sarebbero l’oggetto di una prestazione oggettivamente sproporzionata.
In questo modo viene introdotto uno strumento di giustizia contrattuale volto a riequilibrare quei rapporti in cui il carattere usurario degli interessi sia sopravvenuto al sorgere del rapporto. Il fondamento di tale strumento viene rinvenuto nella buona fede che deve sussistere durante l’esecuzione del contratto ai sensi dell’art. 1375 c.c.
Questo nuovo orientamento, dopo gli arresti degli anni passati, sembra voler offrire maggiore tutela al contraente di fronte ad un’ipotesi di sopravvenienza atipica che incide sull’equilibrio contrattuale.
Nel caso di specie, i Giudici di merito hanno escluso che gli interessi in questione fossero contrari a buona fede e che potessero essere decurtati dal credito oggetto di decreto ingiuntivo. Tuttavia, alla luce di quanto statuito, la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato la sentenza, rinviando la causa alla Corte d’Appello, la quale dovrà procedere ad un nuovo esame alla luce del principio enunciato nella massima.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI |
Conformi: Cass., Sez. Un., 18 settembre 2020, n. 19597 |
Difformi: Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2017, n. 24675 |