Quesito con risposta a cura di Andrea Bonanno e Umberto De Rasis
La rinuncia del coniuge all’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima può comportare un arricchimento nel patrimonio della figlia beneficiata, nominata erede universale, tale da integrare gli estremi di una donazione indiretta se corra un nesso di causalità diretta tra donazione e arricchimento. – Cass., sez. II, ord. 28 luglio 2023, n. 23036.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione è stata chiamata a valutare se la condotta di colui che rinuncia all’azione di riduzione possa o meno integrare una donazione indiretta, ossia quegli atti di liberalità in cui l’intento donativo viene raggiunto con un diverso negozio avente autonoma struttura e funzione, e che sono sottoposte allo stesso regime sostanziale delle donazioni dirette.
La giurisprudenza, per ciò che concerne gli atti di rinuncia, ha più volte affermato come gli stessi possano integrare donazioni indirette.
Il principio è in particolare stato ribadito con riguardo alla rinuncia abdicativa di un diritto reale minore, come l’usufrutto, che pur si estingue con la morte del titolare ma che, se estinto anticipatamente per rinuncia, ispirata da animus donandi, del nudo proprietario, si risolve nel conseguimento da parte del dominus dei vantaggi patrimoniali inerenti all’acquisizione del godimento immediato del bene, che gli sarebbe stato sottratto se l’usufrutto fosse durato fino alla sua naturale scadenza (Cass., sez. II, 30 ottobre 1997, n. 1311). O, ancora, con riguardo alla rinuncia alla quota di comproprietà di un bene, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comunisti, mediante eliminazione dello stato di compressione in cui il diritto di questi ultimi si trovava a causa dell’appartenenza in comunione anche ad un altro soggetto”, ritenuta donazione indiretta, senza che sia all’uopo necessaria la forma dell’atto pubblico, essendo utilizzato per la realizzazione del fine di liberalità un negozio diverso dal contratto di donazione (Cass., sez. II, 25 febbraio 2015, n. 3819).
Nel caso in esame, tuttavia, la Corte di Appello ha escluso che a tali tipi di donazioni indirette possano essere ricondotti i casi di rinuncia dell’azione di riduzione, avendo questa ad oggetto beni di cui il soggetto non è mai stato proprietario, mancando dunque degli elementi essenziali tipici della donazione tra i quali l’impoverimento del donante.
Tale assunto non è condiviso dalla Corte di Cassazione.
La Corte distrettuale oblitera la circostanza che le donazioni indirette “hanno in comune con l’archetipo l’arricchimento senza corrispettivo, voluto per spirito liberale da un soggetto a favore dell’altro, ma se ne distinguono perché l’arricchimento del beneficiario non si realizza con l’attribuzione di un diritto o con l’assunzione di un obbligo da parte del disponente, ma in modo diverso”.
Da ciò discende che lo stesso concetto di impoverimento del donante non va necessariamente inteso come attuale depauperamento patrimoniale, ma assume connotati più ampi, tali da ricomprendere il mero consapevole esercizio – sorretto da intento liberale – della possibilità di arricchire il proprio patrimonio, in favore della parte che da tale azione ne sarebbe risultata impoverita.