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L’avvocato incompetente viola il codice deontologico Il CNF conferma la decisione del CDD di Bologna, che ha sanzionato due avvocati, colpevoli di aver accettato un incarico senza avere la necessaria competenza

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Illecito disciplinare avvocati

La sentenza n. 23-2024 del Consiglio Nazionale Forense ribadisce l’importanza del rispetto delle norme deontologiche nell’esercizio della professione forense, sottolineando come la richiesta di compensi non concordati e l’accaparramento di clientela tramite terzi siano pratiche inaccettabili. La decisione del CNF conferma però e soprattutto che gli avvocati devono operare con trasparenza, competenza e nel rispetto degli accordi stabiliti con i clienti e i terzi coinvolti.

Il procedimento che si conclude con la sentenza del CNF nasce dalla richiesta di opinamento della parcella di due avvocati relativa ad alcune prestazioni legali fornite in favore di un loro “assistito”. Quest’ultimo avrebbe incaricato gli avvocati di promuovere un’azione legale contro una Banca per un contratto di mutuo ritenuto usurario. Alla fine della causa, gli avvocati avevano inviato al cliente una nota pro-forma di € 14.170,17.

L’assistito si opponeva alla richiesta e chiedeva che la sua difesa fosse considerata anche come esposto contro i suoi avvocati. Egli dichiarava di non ricordare di aver mai incontrato gli avvocati personalmente, ma solo un loro collaboratore. Inoltre, sosteneva di non aver mai ricevuto copia dell’atto di citazione né informazioni sullo stato della causa, salvo la notizia della sentenza sfavorevole. Alcune informazioni le aveva ottenute solo tramite un’impiegata della società che aveva eseguito l’analisi contabile del rapporto con la banca e che aveva suggerito gli avvocati.

Incompetenza sanzionata dal codice deontologico forense

Il Consiglio di Distrettuale di Disciplina di Bologna avviava un procedimento disciplinare contro gli avvocati contestando loro tre violazioni:

  1. violazione dell’art. 9 del Codice Deontologico Forense: per aver richiesto al cliente una somma superiore a quella pattuita con la società di analisi contabile;
  2. violazione dell’art. 19 del Codice Deontologico Forense: per accaparramento di clientela tramite la stipula di un contratto con la società, impegnandosi a retrocedere alla stessa una percentuale dei compensi professionali.
  3. violazione dell’art. 12 del Codice Deontologico Forense: per mancanza di adeguata competenza tecnica nel patrocinare l’assistito nel giudizio contro la Banca.

Il CDD di Bologna, esaminati i documenti e sentite le testimonianze, riteneva provate tutte le condotte contestate. In particolare:

  • gli avvocati avevano richiesto al cliente somme diverse e maggiori rispetto a quelle stabilite con la società;
  • avevano sottoscritto un accordo con la società che prevedeva una retrocessione dei compensi e la limitazione dell’indipendenza professionale;
  • non avevano prodotto in giudizio la documentazione necessaria a sostenere le domande, mancando quindi di competenza. 

Il CDD di Bologna infliggeva la sospensione di due mesi dall’esercizio della professione per un avvocato e la censura per l’altro difensore.

Corrette le sanzioni irrogate

Gli avvocati presentavano ricorso al Consiglio Nazionale Forense, chiedendo l’annullamento o la riduzione delle sanzioni. Nelle memorie difensive, essi sostenevano:

  • l’assenza di un accordo per la determinazione del compenso con il cliente.
  • la revoca del mandato da parte dell’“assistito”che aveva fatto venir meno la copertura assicurativa prevista in caso di esito sfavorevole della causa;
  • l’assenza di un rapporto che potesse configurare il divieto di accaparramento di clientela, poiché la società era un semplice terzo che offriva servizi di supporto;
  • la correttezza e completezza della documentazione presentata a sostegno della causa.

Il CNF, esaminati i fatti e le memorie difensive, confermava in gran parte la decisione del CDD di Bologna. In particolare, il CNF riteneva che:

  • la richiesta di somme superiori a quelle concordate con la società costituisse una violazione del dovere di lealtà e correttezza;
  • la convenzione con la società che prevedeva la retrocessione di parte dei compensi, violasse il divieto di accaparramento di clientela;
  • la mancata produzione della documentazione necessaria in giudizio fosse un errore elementare, indicativo di mancanza di competenza. 

Confermata quindi la responsabilità degli avvocati e le sanzioni irrogate dal CDD.

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