La monocommittenza nella professione forense
Il tema dell’attività lavorativa svolta dagli avvocati monocommittenti è, in questi mesi, al centro del dibattito giuridico e politico, poiché è sempre più avvertita l’urgenza di offrire un adeguato inquadramento normativo a tale figura.
Attualmente, infatti, da un lato si considera l’attività dell’avvocato monocommittente – cioè, il professionista forense che fornisce la totalità delle sue prestazioni ad unico soggetto – come non rispettosa dei principi deontologici di libertà, autonomia e indipendenza.
Dall’altro, tali avvocati, che di solito instaurano questo genere di rapporto nell’ambito di uno studio legale strutturato, sono sprovvisti delle tutele garantite dall’ordinamento ai lavoratori subordinati, pur esercitando un tipo di attività per molti versi simile a quella svolta da questi ultimi.
Le proposte di legge sulla monocommittenza degli avvocati
Sono ormai diversi anni che la formalizzazione della figura degli avvocati monocommittenti è all’ordine del giorno sull’agenda politico-legislativa, senza, però, che finora si sia raggiunto un risultato concreto.
È un fatto assodato, però, che sia gli enti esponenziali degli interessi del ceto forense, sia la classe politica si siano ormai resi conto che la regolarizzazione di tale modalità di svolgimento dell’attività forense rappresenta un’urgenza improcrastinabile.
Sul tavolo, infatti, c’è innanzitutto la necessità di fornire le indispensabili tutele normative a questa categoria di lavoratori che si stima superi ormai le 20.000 unità all’interno del nostro territorio nazionale.
Tale dato è ricavato dalle dichiarazioni dei redditi ricevute da Cassa Forense, dalla cui analisi si evince che una percentuale tra il 5 e il 10% di chi esercita la professione di avvocato in Italia ha dichiarato di percepire la totalità o la quasi totalità del proprio reddito dall’avvocato titolare dello studio presso cui operano.
Avvocati monocommittenti: l’esigenza di tutele lavorative
Uno dei nodi principali della questione è rappresentato dal divieto di svolgere lavoro subordinato imposto dalla normativa sulla disciplina dell’ordinamento forense, a tutela dell’indipendenza dell’avvocato (cfr. art. 2 della l. n. 247 del 2012).
Già nel 2020, una proposta di legge si proponeva di offrire una soluzione alla questione in oggetto, prevedendo che all’avvocato monocommittente fosse riconosciuto un compenso congruo e proporzionato da corrispondersi periodicamente, a fronte di un’attività non considerabile come subordinata, ma comunque contrattualmente disciplinata nei suoi aspetti principali, a cominciare dall’indicazione della durata del rapporto. La proposta prevedeva, inoltre, specifiche disposizioni in tema di contributi previdenziali a carico, almeno parzialmente, del titolare dello studio e di tutele del lavoratore in caso di gravidanza e infortuni.
L’abolizione del divieto di svolgimento di lavoro subordinato da parte dell’avvocato presso uno studio di un diverso professionista è stata al centro anche della proposta di legge n. 735 nel 2022.
Il Ministro Nordio sulla monocommittenza forense
Il tema è stato poi ripreso ancor più di recente, ed anche Cassa Forense ha rappresentato l’urgenza della questione, sollecitando il Parlamento sull’esigenza di una disciplina in tema di monocommittenza in ambito forense.
Da ultimo, sul tema si è registrata l’apertura da parte del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il quale ha riconosciuto che “si avverte la necessità di regolamentare la monocommittenza”, pur nel pieno rispetto dei principi di libertà, autonomia e indipendenza che devono caratterizzare la figura dell’avvocato nello svolgimento della sua attività.
Sulla stessa linea si è espresso il Consiglio Nazionale Forense, evidenziando che la regolamentazione dell’attività degli avvocati monocommittenti deve inserirsi in una riscrittura generale della legge professionale che riguardi ogni forma di aggregazione professionale come le società tra avvocati.