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Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo Principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo: se il procedimento è ablatorio o sanzionatorio  il termine non deve superare i 10 anni

ragionevole durata procedimento amministrativo

Termini del procedimento amministrativo: legge 241/1990

Il principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo è sancito dagli articoli 1 e 2 della legge n. 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. L’azione della PA deve essere infatti improntata ai criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza e ai sensi dell’articolo 2, in base alla tipologia di provvedimento da adottare,  il procedimento deve concludersi entro il termine di 30 giorni, 90 giorni, 180 giorni, che decorrono “dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte”.   

Ragionevole durata dei procedimenti ablatori e sanzionatori

Come ricordato però dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 408/2022 anche “lart. 97 Cost. contiene in sé limplicita valorizzazione (o addirittura formulazione) del principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo; principio operante nellordinamento quale diritto vivente, soprattutto per i casi di procedimenti ablatori, sanzionatori e/o di procedimenti di controllo volti alladozione di atti di ritiro.” 

Questo perché il rispetto dei termini assicura  anche il rispetto del principio di certezza del diritto in quando il decorso eccessivo del tempo crea incertezza e incide  sulle scelte di vita delle persone e delle imprese.

Termine decennale

Sul principio di ragionevole durata del processo amministrativo in presenza di un atto di revoca della PA si è espresso di recente il TAR della Campania, nella sentenza n. 1876/2024. La decisione ha posto fine alla controversia avente ad oggetto la revoca del beneficio amministrativo, affermando che il procedimento è stato eccessivamente lungo. La concessione provvisoria del beneficio è avvenuta nel 2004, mentre la procedura di revoca è iniziata solo nel 2018, concludendosi definitivamente nel 2019. Questo lungo intervallo di tempo è stato ritenuto in violazione del principio di ragionevole durata del procedimento amministrativo.

Secondo la giurisprudenza, l’amministrazione deve rispettare la durata ragionevole del procedimento, soprattutto quando si tratta di procedimenti sanzionatori o ablatori che incidono sui diritti dei privati. La legge prevede che ogni procedimento amministrativo debba concludersi entro un termine prefissato, con conseguenze per la responsabilità dell’amministrazione in caso di ritardo.

La riforma Madia del 2014 e il Decreto Semplificazioni del 2020 hanno ulteriormente rafforzato questo principio, stabilendo termini perentori per l’adozione dei provvedimenti di secondo grado e prevedendo l’inefficacia di provvedimenti tardivi in determinate ipotesi.

In questo caso, la clausola di provvisorietà del provvedimento che aveva accordato la concessione del contributo va interpretata come una condizione risolutiva, che permette all’amministrazione di recuperare le somme erogate in caso di esito negativo del controllo. Tuttavia, tale clausola non può essere utilizzata per procrastinare sine die il potere di controllo dell’amministrazione, in quanto contraria ai principi di buona fede, correttezza e ragionevole durata del procedimento. Di conseguenza, la clausola in questione deve essere considerata illegittima nella parte in cui consente una durata indefinita del procedimento di verifica.

La giurisprudenza

Il TAR esamina varie possibili soluzioni per determinare un termine ragionevole per la conclusione del procedimento di controllo:

  1. applicare il termine generale di 30 giorni previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990;
  2. applicare l’art. 21 quinquies della stessa legge, che consente la revoca dei provvedimenti senza limiti di tempo, ma con obbligo di indennizzo;
  3. applicare l’art. 21 nonies, che prevede un termine massimo di 12 mesi per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti;
  4. applicare il termine quinquennale previsto dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 per i procedimenti sanzionatori.

Il Collegio ritiene che né l’art. 21 quinquies né l’art. 21 nonies siano applicabili in questo caso, poiché il provvedimento revocato non era illegittimo. Neanche il termine generale di 30 giorni è ritenuto applicabile, poiché non è perentorio.

Pertanto, la durata ragionevole del procedimento deve essere determinata considerando altri parametri, come il termine di prescrizione decennale per l’azione di ripetizione di indebito o il termine quinquennale per i procedimenti sanzionatori.

La giurisprudenza europea sottolinea che il superamento del termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento delle decisioni amministrative solo se pregiudica i diritti della difesa.

Inoltre, la Corte Costituzionale italiana ha affermato che la durata del procedimento deve essere contenuta entro limiti temporali ragionevoli per garantire la certezza giuridica e l’effettività del diritto di difesa.

Al termine delle suddette considerazioni il Collegio stabilisce che per i procedimenti afflittivi, come quello di revoca del caso di specie, il termine ragionevole può essere il termine decennale, che corrisponde al termine di prescrizione per l’azione di ripetizione di indebito.

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