Atti di vessazione del marito nei confronti della moglie
Nella vicenda in esame, la Corte d’appello di Milano aveva ritenuto il marito responsabile dei reati di cui agli artt. 572 e 609-bis c.p. nei confronti della moglie convivente, condannando l’imputato alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione.
Avverso la suddetta decisione il marito aveva proposto ricorso dinanzi al giudice di legittimità.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18031-2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Reato di maltrattamenti in famiglia
Per quanto specificatamente attiene al reato di maltrattamenti in famiglia, addebitato al ricorrente dai Giudici di merito, la Suprema Corte ha evidenziato che la fattispecie in questione “consiste nella condotta di sottoposizione della vittima ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita”.
A tal proposito, la Corte ha altresì precisato che “nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia (..) non rientrano soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni e le umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano un vere e proprie sofferenze morali”.
Sulla scorta di quanto sopra riferito, la Corte ha dunque ritenuto che i Giudici di merito avessero correttamente valutato che la convivenza coniugale tra l’imputato e la vittima era stata caratterizzata dalla ripetitività di condotte vessatorie perpetrate dal marito a carico della moglie e che le stesse fossero di natura abusante, umiliante e violenta, con la conseguenza che la condotta posta in essere dall’imputato aveva integrato il reato di maltrattamenti in famiglia.