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Amministratore più caro: delibera di nomina a rischio nullità Una recente sentenza del Tribunale di Milano dichiara nulla la nomina di un amministratore condominiale con compenso più alto del precedente

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Delibera condominiale nomina amministratore

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 4949 del 17 giugno 2025, ha dichiarato nulla una delibera assembleare con cui un condominio aveva nominato un nuovo amministratore con un compenso più elevato di quello richiesto dal professionista uscente.

Il caso riguardava un piccolo stabile nel centro della città: l’amministratore sostituito percepiva un onorario di 600 euro annui, mentre il nuovo professionista aveva richiesto un corrispettivo pari a 2.500 euro.

La motivazione della decisione

Secondo il Tribunale, il divario tra i due compensi, rapportato al bilancio annuale del condominio, che non superava i 12.000 euro, dimostrava la volontà di avvantaggiare il nuovo amministratore, in assenza di altre ragioni oggettive.

La delibera, quindi, è stata ritenuta viziata per eccesso di potere, un vizio che può determinare la nullità quando l’assemblea agisce perseguendo finalità estranee all’interesse comune.

I limiti del sindacato giudiziario sulle scelte dell’assemblea

La sentenza ha suscitato perplessità perché rischia di ridurre la libertà decisionale dell’assemblea.

La giurisprudenza di legittimità è chiara nel delimitare l’ambito del controllo del giudice, che non può sindacare il merito delle scelte dei condomini ma solo verificarne la legittimità.

Come ribadito dalla Cassazione (sentenze n. 5889/2001, 19457/2005 e 15633/2012), l’autorità giudiziaria deve accertare se la deliberazione rientri nell’esercizio corretto del potere discrezionale e se rispetti le norme di legge e di regolamento condominiale.

Quando si configura l’eccesso di potere

Il vizio di eccesso di potere si manifesta quando la decisione assembleare persegue interessi diversi e confliggenti con quelli del condominio, arrecando pregiudizio alla collettività dei proprietari.

Nel caso esaminato, la sentenza ha ritenuto che la sproporzione del compenso, confrontata esclusivamente con quello precedente e non con le tariffe medie di mercato o con parametri oggettivi, fosse sufficiente a dimostrare la deviazione dall’interesse condominiale.