Condominio, Condominio - Primo piano

La comunione dei beni  Fonti e caratteri tipici della comunione dei beni. Uso e gestione del bene comune e scioglimento della comunione

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Definizione di comunione

La comunione indica il fenomeno della contitolarità dei diritti, che ricorre quando più soggetti sono titolari di un unico diritto sul bene. Sul piano normativo, la definizione generale dell’istituto è fornita dall’articolo 1100 c.c., secondo cui la comunione sussiste quando «la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più soggetti», riferendosi alle sole ipotesi di contitolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento su cosa altrui.

Dall’articolo 1100 c.c. si ricava che gli elementi caratterizzanti della comunione sono:

  • l’unicità del bene comune. Il diritto di ciascun partecipante investe l’intera cosa comune. Si parla, quindi, di comunione pro indiviso (comunione su un bene indiviso), nella quale la cosa comune appartiene per intero a tutti i partecipanti;
  • la presenza di almeno due soggetti titolari di altrettanti diritti di eguale contenuto sul bene.

Il compartecipante può, però, anche rinunciare al suo diritto di comproprietà e, con la rinuncia, viene meno anche l’obbligo di corrispondere le spese per mantenere in vita la cosa (articolo 1104 c.c.).

In merito alla rinuncia «abdicativa» di un partecipante alla comunione, la Cassazione ha stabilito che la stessa rinuncia “ha una funzione satisfattiva liberatoria: ne consegue che il rinunciante, con la dismissione del proprio diritto (reale), si libera delle obbligazioni propter rem che vanno a carico dei rimanenti partecipanti”.

Il codice civile, agli articoli 1100 e seguenti, disciplina l’istituto della comunione ma nulla prevede in ordine all’oggetto di tale diritto; il primo comma dell’articolo 1103 c.c., però, stabilisce che «ciascun partecipante può disporre del suo diritto», avvalorando la tesi secondo la quale l’oggetto del diritto dei partecipanti alla comunione è il bene comune nella sua integralità e non una quota.

La quota, quindi, non è l’oggetto del diritto ma solo la misura di partecipazione agli ob-blighi e del diritto di disporre del bene attraverso la vendita, ma sicuramente non è la misura del potere di disporre del bene stesso.

Scopo della comunione è il mero godimento del bene (articolo 2248 c.c.) ed è questo elemento che la distingue dalla società in cui più persone si uniscono per l’esercizio in comune di un’attività economica al fine di ricavarne un lucro o guadagno (utile).

Le fonti della comunione

Avendo riguardo alla genesi della comunione, si possono individuare tre fonti principali:

  • il titolo;
  • la legge;
  • gli usi.

Il titolo

Il titolo è il contratto che esprime la volontà di più persone interes-sate a costituire una comunione che, proprio per tale motivo, è definita volontaria. Il titolo, oltre alla volontà di costituire e mantenere una comunione, può anche contenere le norme regolatrici della comunione stessa, norme che, in genere, prevalgono su quelle previste dalla legge (articolo 1100 c.c.) e che sono talvolta riportate negli atti di acquisto od in apposite convenzioni.

Il regolamento della comunione (articolo 1106 c.c.), che può essere approvato a maggioranza dai comunisti, può integrare od attuare le norme contenute nel titolo, ma non può sostituirsi ad esse.

La legge

Si ha comunione legale quando, in assenza di un titolo originario, la comunione trova il suo fondamento nella legge o perché trattasi di figure di comunioni speciali, come ad esempio la comunione forzosa del muro altrui (articolo 875 c.c.), espressamente previste dal diritto, ovvero di fattispecie quali, ad esempio, la comunione ereditaria che, per il solo fatto di verificarsi, vengono disciplinate ex lege dagli articoli 1101-1116 c.c.

Gli usi

Gli usi o consuetudini sono regole non scritte osservate dalla generalità dei consociati in modo costante ed uniforme per un congruo periodo di tempo, col convincimento che si tratti di norme giuridicamente vincolanti. Relativamente alla comunione essi rilevano nelle comunioni tacite familiari e nelle comunioni familiari montane. Per le prime (che ricorrono quando più membri della stessa famiglia, che vivono in comunanza di tetto e di mensa, cooperano, ciascuno con la propria attività, allo svolgimento di un’attività ricavandone i mezzi per il proprio sostentamento) bisogna far riferimento all’ultimo comma dell’articolo 230 bis c.c. che ammette il ricorso agli usi solo qualora non contrastino con le norme sull’impresa familiare. Per le seconde si fa riferimento all’articolo 10 della legge 1102/1971, che pone però gli usi, come fonte primaria, dopo gli statuti. Trattasi di istituti che trovano, ormai, scarsa applicazione.

Caratteri tipici della comunione

Il codice vigente delinea la comunione come istituto fondato sul concetto di contitolarità del diritto di proprietà o di un altro diritto reale.

Il primo carattere distintivo di tale istituto è la quota (articolo 1101 c.c., secondo comma), che rappresenta una parte ideale ed astratta dell’oggetto della comunione.

Nei rapporti interni, la quota rappresenta la misura del concorso «tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione»; nei rapporti esterni, la quota rappresenta, invece, il limite entro il quale il singolo può disporre del diritto (articolo 1103 c.c., primo comma).

La comunione, come istituto generale, ha carattere transitorio ed il codice stesso pre-vede che ciascun comunista ha la facoltà di chiederne lo scioglimento in qualsiasi mo-mento. Anzi, l’obbligo di rimanere nella comunione, derivante da esplicito patto in tal senso, è valido per non oltre dieci anni (articolo 1111 c.c., secondo comma).

L’assoluta mancanza di autonomia patrimoniale dei beni che costituiscono la comunione comporta tre effetti:

  • ogni comunista può disporre liberamente dei beni comuni;
  • i creditori personali del comunista possono rivalersi sui beni comuni, ovviamente nei limiti della quota del rispettivo debitore;
  • manca la previsione del beneficio della preventiva escussione dei beni comuni a fa-vore dei creditori della comunione.

Uso, gestione e disposizione del bene comune

Il comma 2 dell’articolo 1101 c.c. dispone che ciascun comunista concorre nei vantaggi e nei pesi della comunione in proporzione alla quota di cui è titolare.

A sua volta, l’articolo 1102 c.c. stabilisce che ciascun comunista può servirsi della cosa comune.

Dal combinato disposto degli articoli 1101 e 1102 c.c. si ricava che:

  • il singolo partecipante può usare e godere della cosa comune. In particolare, cia-scun comunista può godere della cosa comune in forma diretta, servendosi direttamente del bene comune, o in forma indiretta, attraverso l’acquisto dei frutti naturali e civili prodotti dal bene;
  • in mancanza di una diversa volontà dei comunisti, l’uso e il godimento della cosa da parte di ciascuno è proporzionale alla propria quota, in quanto ciascun comunista deve rispettare il diritto degli altri e non può goderne oltre quello proprio.

L’uso della cosa comune incontra, però, alcuni limiti:

  • nel servirsi della cosa comune, il compartecipe non può alterarne la destinazione economica originaria, né impedire agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto (articolo 1102, comma 1, c.c.). Ad esempio, il proprietario che occupa stabilmente una parte del cortile comune di un edificio mediante il parcheggio della sua autovettura, impedisce agli altri condomini di utilizzare lo spazio comune ostacolando, così, il libero e pacifico godimento degli altri comproprietari;
  • il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

Dette modalità di uso, però, non assumono carattere perentorio, ben potendosi stabilire delle deroghe: ad esempio, un uso basato su criteri di divisione spaziale (quale potrebbe essere la divisione di un giardino comune che viene frazionato in tante zone quanti sono i proprietari) o temporale (si pensi all’uso turnario dei posti auto). Il bene comune può essere addirittura ceduto in uso ad altri, nel qual caso, realizzandosi la costituzione di un diritto reale di godimento, è necessario il consenso unanime dei comproprietari (art. 1108 c.c., terzo comma).

Lo stesso dicasi per le attività di gestione fondate sul principio secondo il quale le deliberazioni approvate dalla maggioranza vincolano anche gli altri (articolo 1105 c.c., secondo comma), nel caso di decisioni su argomenti ricadenti nella sfera dell’ordinaria amministrazione. In tutti gli altri casi di straordinaria amministrazione, la maggioranza prescritta è quella dei due terzi del valore complessivo della cosa comune (Art. 1108 c.c., I co.).

Le iniziative individuali per la gestione della cosa comune non sono, quindi, consentite al di fuori di quelle necessarie per la conservazione od il miglior uso della stessa.

Per gli atti di disposizione del bene comune (vendita, donazione ecc.), l’articolo 1108 c.c., terzo comma, prevede la necessità del consenso unanime dei comunisti, quando si ha riguardo alla totalità del bene; mentre il singolo partecipante può disporre dello stesso diritto solo nei limiti della propria quota. Ciò vale sia per gli atti di alienazione o di rinuncia, sia per gli atti di costituzione di diritti reali limitati sulla cosa comune.

Lo scioglimento della comunione

La comunione si scioglie con la divisione, che può avvenire con una spartizione mate-riale delle cose che compongono il bene comune, ove sia possibile, oppure con la ripartizione della somma ricavata dalla vendita della cosa stessa.

Se i comunisti sono più di due, è ammesso uno stralcio di quota per chi vuole trarsi fuori dalla comunione.

In tema di scioglimento giova a questo punto ricordare la disciplina contenuta nel co-dice civile agli articoli 1111 e 1112 c.c.

La prima iniziativa individuale che incide sui diritti dei comunisti è la richiesta di sciogli-mento della comunione, che ognuno dei partecipanti può sempre proporre, ricorrendo, eventualmente, all’autorità giudiziaria in caso di opposizione degli altri contitolari.

Alla divisione della comunione si applicano, per espresso rinvio fattone dall’articolo 1116 c.c., le disposizioni sulla divisione ereditaria contenute negli articoli 713 e seguenti del codice civile. Anche in tale ipotesi, è da sottolineare, vi è un equo contempera-mento degli interessi (comuni ed individuali) operato dall’articolo 1111 c.c. primo comma, che affida all’autorità giudiziaria la facoltà di evitare lo scioglimento immediato della comunione nei casi in cui esso possa recare danno agli altri comunisti, stabilendo, così, una dilazione dello scioglimento stesso entro il limite dei cinque anni.

L’autorità giudiziaria può, addirittura, considerare irricevibile la richiesta di scioglimento nel caso in cui il particolare uso cui è destinato il bene comune non lo consenta (articolo 1112 c.c.). Ciò vale in particolar modo nel caso in cui si tratti di beni condominiali dove il legislatore ha voluto, imponendo tale divieto, salvaguardare il fondamentale aspetto di accessorietà o sussidiarietà del bene comune rispetto alla piena proprietà individuale cui è asservito.

Particolare cenno deve farsi a proposito della forma che deve assumere l’atto con cui è deciso lo scioglimento della comunione. Se l’atto scritto — a norma dell’articolo 1350 c.c. n. 11 — è necessario per lo scioglimento della comunione su beni immobili, esso non occorre, invece, per la semplice attribuzione di un godimento separato del bene comune, ferma rimanendo la comproprietà fra gli aventi diritto. Per quest’ultima ipotesi, è perfettamente valida anche una semplice convenzione verbale (Cass. 1428/1984).

Nel caso di proprietà pro indiviso di un edificio urbano, l’immobile può ritenersi comodamente divisibile, ancorché la sua divisione in natura comporti la costituzione di un condominio implicante di per sé la persistenza della comproprietà sulle parti comuni dello stabile.

Al fine di assicurare la piena imparzialità in sede di formazione delle porzioni, l’articolo 729 c.c., nel caso di quote uguali, prevede l’assegnazione mediante estrazione a sorte. Nel caso, invece, le porzioni siano disuguali, si procederà mediante attribuzione diretta all’avente diritto, con eventuale pagamento in denaro di conguagli. Il sistema dell’attribuzione diretta costituisce pur sempre eccezione alla regola, possibile, ad esempio, anche quando per effetto del sorteggio potrebbero determinarsi conseguenze (da identificare e precisare dal giudice di merito), tali da portare ad un frazionamento gravemente antieconomico dei beni comuni (Cass. 834/1986 e 16082/2007; Corte Appello Napoli, Sez. 2, 4167/2008).

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