condominio parziale

Condominio parziale e lesioni: chi paga? La Cassazione chiarisce che le spese di ricostruzione di un solo corpo di fabbrica sono a carico dei condomini cui il bene comune serve

Condominio parziale e riparto delle spese: i fatti

Al fine di analizzare l’interessante arresto giurisprudenziale cui giunge la II sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13229 del 16 maggio 2019 in tema di condominio parziale, è opportuno prendere le mosse dal dato normativo. Premesso il disposto di cui all’art. 1117 c.c. che elenca, salvo titolo contrario, le parti comuni dell’edificio, la norma-cardine in tema di condominio parziale è l’art. 1123 c.c. 3 comma.

Tale norma, pur intitolata alla  “ripartizione delle spese” stabilisce espressamente:

“Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.

Quindi, il presupposto per l’attribuzione in proprietà comune a tutti i condomini viene meno se le cose, gli impianti e i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l’esistenza o per l’uso (ovvero siano destinati all’uso o al servizio) di alcuni soltanto dei condomini (cfr. Trib. Salerno sent. 1517/2015; Cass. civ. II, n. 1680/2015).

Le conseguenze di ciò si riverberano anche nella gestione del fabbricato, nella ripartizione delle spese e consistono nel fatto che ogni atto ed ogni attività di amministrazione e/o di utilizzazione devono essere compiuti all’interno del condominio parziale, escludendo dai partecipanti quelli che sono proprietari di immobili che non godono di quel servizio o impianto, non ricevendo dallo stesso alcuna utilità.

A conferma di quanto sopra anche l’art. 1136 c.c. (“costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni”), che al penultimo comma, stabilisce: “l’assemblea non può deliberare se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati”. Mentre, antecedentemente alla Riforma, si faceva riferimento ai “condomini”, oggi attraverso la dicitura degli “aventi diritto” il legislatore ha adeguato l’impianto finendo così per riconoscere anche legittimità delle assemblee del  “condominio parziale”.

L’art. 1117 c.c. e il suo coordinamento con l’art. 1123, 3 comma, c.c.

In primo luogo si deve constatare che la legge si riferisce esplicitamente a beni comuni a tutti i condomini «se il contrario non risulta dal titolo» ex articolo 1117 c.c. Ciò vuol dire che esiste una sola eccezione per la quale i beni non sono comuni a tutti i condomini: la volontà contraria contenuta nel titolo di acquisto. Questa osservazione potrebbe sembrare sterile se il suo carattere formalistico non fosse convalidato da un ulteriore rilievo pratico e sostanziale: il motivo per cui i beni sono comuni anche a quei condomini che non li utilizzano risiede nel fatto che quei beni partecipano di un edificio unico che è, appunto, il condominio.

Il destino comune dei beni viene supportato dall’unità dell’edificio cui partecipano tutti i proprietari in virtù della loro ulteriore qualifica di condomini. In questa prospettiva il criterio di utilizzabilità non viene affatto preso in considerazione dalla legge per determinare la contitolarità dei beni di cui all’articolo 1117 c.c., per cui, se ci fermassimo nella nostra analisi, tali beni sarebbero comuni a tutti a prescindere dal loro utilizzo ed anche nel caso vi fosse un utilizzo solo da parte di alcuni.

In realtà è vero che il citato articolo 1117 c.c. non consente esplicitamente che la proprietà dei beni sia comune solo ad alcuni condomini però, a ben guardare, nemmeno lo vieta espressamente; tale possibilità è ammessa sulla base di una convenzione ma non si può escludere che il criterio dell’utilizzabilità (e quello correlato dell’utilità) non sia richiamato dall’articolo 1117 c.c. (in quanto sottinteso da quella normativa).

Il legislatore, allora, non ha esplicitamente dichiarato che il condominio riguarda solo coloro ai quali i beni servono perché tale stato di fatto rappresenta una condizione necessariamente preesistente all’operatività della norma, cioè essa è presupposta sulla base della logica determinazione dei fatti e dei conseguenti effetti che si verificano in questi casi.

Questo sembra essere il ragionamento che sta alla base dell’opinione per cui: «I presupposti per l’attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero sono destinati all’uso o al servizio, non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Pertanto, del diritto soggettivo di condominio formano oggetto soltanto i servizi e gli impianti effettivamente legati alle unità abitative dal collegamento strumentale; vale a dire le sole parti di uso comune che siano necessarie per l’esistenza, ovvero siano destinate all’uso o al servizio di determinati piani o porzioni di piano».

La Cassazione (sent. n. 7885/1994)  determina anche il motivo specifico di tale conclusione: «La disposizione da cui risulta con certezza che le cose, i servizi e gli impianti di uso comune dell’edificio non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti, si rinviene nell’art. 1123, comma terzo, c.c. Secondo questa norma, l’obbligazione di concorrere nelle spese per la conservazione grava soltanto sui condomini, ai quali appartiene la proprietà comune».

In realtà se si legge il comma in questione[1]  non si evince affatto quanto affermato dalla Cassazione, poiché viene disciplinato il criterio di spesa in base al criterio di utilità, per cui ad un primo esame, sembrerebbe che questa norma non disciplini affatto la parzialità della titolarità. Infatti, ben potrebbe intendersi nel senso che le spese sono sopportate dai condomini che ne traggono utilità ma la proprietà resta comunque in capo a tutti i condomini, anche a quelli che non usano i beni in oggetto, così come stabilito dal principio generale di sui all’articolo 1117 c.c.

È la stessa Cassazione che risponde al quesito sottolineando come il terzo comma dell’art. 1123 «non recepisce il criterio, che si assume valido in generale per la ripartizione delle spese per le parti comuni, secondo cui i contributi si suddividono tra i condomini in ragione dell’utilità. Se così fosse, il precetto sarebbe del tutto superfluo, perché ripeterebbe quello dettato dal capoverso precedente» tanto è vero che: «Posto che l’art. 1123 comma terzo ripartisce il concorso nelle spese per le parti comuni, destinate a servire le unità immobiliari in misura diversa, in proporzione all’uso che ciascuno può farne, dal contributo implicitamente esonera coloro i quali, per ragioni obbiettive afferenti alla struttura o alla destinazione, non utilizzano le parti, che non sono necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero non sono destinate all’uso o al servizio dei loro piani o porzioni di piano. Se i proprietari delle unità immobiliari, non collegate con determinate parti comuni, fossero esonerati dal concorso nelle spese in virtù del criterio dell’utilità statuito dall’art. 1123 comma secondo c.c., il disposto dell’art. 1123 comma terzo sarebbe del tutto identico a quello fissato nel comma precedente e configurerebbe un duplicato inutile».

È questa un’interpretazione che collega funzionalmente le diverse parti di una norma in maniera esemplare per arrivare ad identificare una eadem ratio che sottende l’intero dettato normativo ed il ragionamento viene spiegato in questo modo: « In realtà, l’art. 1123 c.c. nei distinti capoversi contempla ipotesi differenti. Mentre al comma due regola solo ed esclusivamente la ripartizione delle spese per l’uso, al comma tre disciplina la suddivisione delle spese per la conservazione. La ragione della previsione espressa è che le cose, i servizi e gli impianti, essendo collegati materialmente e per la destinazione soltanto con alcune unità immobiliari, appartengono in comune solamente ai proprietari di queste. La disposizione, cioè, contempla l’ipotesi di condominio parziale».

Come si vede la Cassazione fa discendere esplicitamente dall’articolo 1123 c.c. III comma,  la previsione legislativa del condominio parziale il quale deve essere ammesso, non solo in base ai ragionamenti effettuati dalla Suprema Corte, ma anche in base al dato incontestabile che dalla legge non risulta alcun esplicito divieto di costituzione del condominio parziale e che il condominio parziale risulta essere una fattispecie che realizza interessi meritevoli di tutela alla stregua dei principi del nostro ordinamento giuridico.

Il caso affrontato dalla Cassazione

La fattispecie oggetto di analisi da parte della Suprema Corte attiene al riparto delle spese di risanamento di alcuni pilastri di un complesso immobiliare costituito da tre corpi di fabbrica separati da giunti tecnici. Siamo, quindi, in presenza di tre fabbricati distinti tra di loro per tipologia costruttiva e che a loro volta danno luogo a tre distinti condomini. Invero, il nesso di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive sia estese in verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente (cd. “condominio orizzontale”).

Ora, con riferimento al caso in commento, veniva impugnata una delibera assembleare che approvava la ripartizione delle spese – effettuata in base ai millesimi di proprietà generale dell’intero complesso edilizio – per il risanamento di alcuni pilastri posti al di sotto di in solo corpo di fabbrica.

La Cassazione, dopo aver delineato caratteri, presupposti, contenuto e limiti dell’istituto del condominio parziale, conferma la validità, per questo singolo caso concreto, della ripartizione effettuata per tabella generale di proprietà relativa a tutte e tre i fabbricati.

Ed infatti, seguendo gli accertamenti cui si era pervenuti in sede dei giudizi di merito, a dare prova della corretta ripartizione era proprio la circostanza che i pilastri pur risultando strutturalmente portanti per un solo corpo di fabbrica essi sostenevano non solo l’edificio sovrastante ma anche altri elementi comuni a tutti gli altri edifici (nel caso de quo un camminamento su porticato esterno condominiale). Diversamente, ove detti pilastri avessero avuto la funzione di servire solo il relativo corpo di fabbrica, il riparto delle spese per gli interventi di consolidamento avrebbe dovuto essere improntato al differente criterio di cui al terzo comma dell’art. 1123 c.c. 3° comma. Ciò in ossequio al principio di cui all’istituto del condominio parziale.

Riflessi in tema di gestione e amministrazione

La disciplina del condominio parziario si riflette anche nella validità delle convocazioni assembleari che devono avere come destinatari i soli condomini interessati;  nella costituzione della stessa assemblea che deve riportare i millesimi di comproprietà dei singoli condomini riferiti al condominio parziale e conseguentemente per lo stesso motivo anche alla fase della deliberazione.

Ora, tutti questi potrebbero apparire, a prima vista, vizi di mera annullabilità. Invero, la giurisprudenza ha più volte sancito, soprattutto negli ultimi tempi, che l’erronea determinazione dei soggetti che debbono partecipare alla decisione comporta il vizio di incompetenza dell’assemblea stessa con conseguente nullità assoluta e non mera annullabilità della decisione.

Tale più grave forma di invalidità può essere rilevata da ciascun condomino in ogni tempo. Si immagini per esempio che al posto di convocare i condomini interessati ai lavori straordinari di una scala o di un impianto a servizio di un’unica verticale si convocassero i condomini di altra scala o di altra verticale. Oppure, ancora, si faccia l’esempio dell’erroneità del riparto delle spese per i casi come quello appena descritto: si avrebbe una violazione in astratto dei criteri legali con conseguente nullità della delibera perché approvata in assenza di accordo unanime di tutti i partecipanti al condominio parziale.

Profili processuali del Condominio parziario

L’azione di accertamento negativo

Il condomino che in sede di riparto delle spese fatte dall’amministratore ritenga che esse non lo riguardino in quanto egli non è proprietario del bene per cui si è proceduto alla manutenzione, potrà chiedere al giudice, con una azione di accertamento ex art. 1123 c.c., che venga dichiarata la mancanza dell’obbligo al pagamento delle stesse in qualsiasi momento e ciò anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. Cass. VI/II, ord. n. 33039/2018).

La legittimazione dell’amministratore

Ulteriori profili processuali di interesse per la figura del Condominio parziale attengono alla legittimazione dell’amministratore che è da ritenersi esclusiva anche se si controverte in materia di danni arrecati a terzi cagionati dalla cattiva custodia e manutenzione di un bene “che non appartiene a tutti i condomini”.

In presenza di condominio parziale, infatti, la legittimazione processuale spetta in ogni caso all’amministratore né il condominio parziale ha legittimità a nominare altro e diverso rappresentante in giudizio (Cass. 1264/2016, Cass. 651/2000, Trib. Salerno sent. n. 1517/2015)

Il riparto delle spese

E’ proprio dalla sentenza in esame che può trarsi il seguente principio: nei giudizi di risarcimento del danno per la cattiva manutenzione di un bene comune solo ad alcuni degli immobili in condominio, pur essendo la sentenza di condanna diretta al Condominio generalmente inteso, è poi onere dell’amministratore, in sede di riparto interno, fare buon governo dei principi di cui all’artt. 1123 c.c. 3 comma (Cass. civ. II, nn. 4436/2017 e 2363/2012).

 

[1] L’articolo 1123  III comma c.c. testualmente recita: «Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità».

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Convocazione assemblea: l’amministratore non è obbligato ad allegare i bilanci La Cassazione chiarisce che non si configura un obbligo per l’amministratore di allegare all’avviso di convocazione anche i documenti giustificativi o i bilanci da approvare, è sufficiente l'ordine del giorno

Rendiconto e convocazione assemblea: i fatti

Un condomino impugnava la delibera assembleare per mancata allegazione del rendiconto all’avviso di convocazione contenente l’ordine del giorno. Il Giudice di prime cure respingeva la domanda attorea rilevando che il bilancio era stato allegato alla delibera di approvazione comunicata al condomino il quale non aveva, nelle more, richiesto di visionare e/o ricevere il predetto documento.

L’esito del processo di primo grado veniva ribaltato in Appello, in quanto la Corte riteneva che il bilancio dovesse essere comunicato preventivamente al condomino, essendo altrimenti leso “il diritto all’informativa generica con riferimento a quanto oggetto di assemblea”, non potendo a tal fine sopperire il successivo invio dell’atto, unitamente alla delibera di approvazione, dovendosi osservare l’obbligo di informazione in via preventiva e non successiva.

Allegazione rendiconto alla convocazione non necessaria

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21271/2020 accoglie il ricorso del Condominio ritenendo come non necessaria l’allegazione del rendiconto in sede di convocazione. Ed infatti, a parere della Corte, l’obbligo di preventiva informazione dei condomini in ordine al contenuto degli argomenti posti all’ordine del giorno dell’assemblea risponde alla finalità di far conoscere ai convocati, sia pure in termini non analitici e minuziosi, l’oggetto essenziale dei temi da esaminare, in modo da consentire una partecipazione consapevole alla discussione ed alla relativa deliberazione (conformi Cass. civ. II sent. n. 21966/2017; Cass. civ. II sent. n. 25693/2018; Cass. civ. VI/II ord. n. 15587/2018).

Obbligo rispettato con l’invio dell’ordine del giorno

In altri termini, non si configura un obbligo per l’amministratore di allegare all’avviso di convocazione anche i documenti giustificativi o i bilanci da approvare, non venendo pregiudicato il diritto alla preventiva informazione sui temi in discussione, fermo restando che a ciascun condomino è riconosciuta la facoltà di richiedere, anticipatamente e senza interferire sull’attività condominiale, le copie dei documenti oggetto di eventuale approvazione.

Ove tale richiesta non sia stata avanzata, il singolo condomino non può poi invocare l’illegittimità della successiva delibera di approvazione per l’omessa allegazione dei documenti contabili all’avviso di convocazione dell’assemblea, ma può impugnarla per motivi che attengono esclusivamente alla modalità di approvazione o al contenuto delle decisioni assunte.

Conclusioni

La soluzione proposta dalla Cassazione appare improntata ad equità soprattutto se si tiene conto che la Riforma ha onerato l’amministratore alla tenuta di una ricca mole di documentazione contabile (si vedano gli elementi di cui deve comporsi obbligatoriamente il rendiconto, passati in rassegna in apertura del presente commento). Se ciò è vero, altro è affermare che tutti i predetti documenti devono essere spediti in sede di convocazione assembleare per l’approvazione dei rendiconti, con oneri cospicui a carico di tutto il Condominio. La trasparenza, a dire della Corte, è comunque rispettata stante lo strumento di richiesta di accesso alla documentazione presso lo studio dell’amministratore, da effettuarsi comunque senza sfociare in “mere esplorazioni”.

Il provvedimento in commento aderisce, dunque, ad un orientamento che sembra guadagnare consensi nel panorama giurisprudenziale di legittimità e di merito (Cass. civ. II sent. n. 21966/2017; Cass. civ. II sent. n. 25693/2018; Cass. civ. VI/II ord. n. 15587/2018)

Non si può non dare atto, tuttavia, del differente indirizzo interpretativo (ex multis Cass. civ. VI/II n. 33038/2018) maggiormente rigoroso e formalista, prevalente fino agli inizi dello scorso decennio, (contraria solo Corte Appello Roma, sent. 21 dicembre 1995), alla stregua del quale la mancata allegazione degli elementi del rendiconto all’avviso di convocazione produrrebbe comunque l’invalidità della delibera. La forma di tale invalidità viene comunque individuata nell’annullabilità, e pertanto la delibera viziata sarebbe comunque sanabile in mancanza di impugnativa nel termine di trenta giorni dalla delibera (per i condomini presenti, dissenzienti o astenuti) o dalla ricezione del verbale (per gli assenti).

diritto di accesso ai documenti condominiali

Diritto di accesso ai documenti condominiali e abuso del diritto Il tribunale di Napoli Nord si sofferma sul diritto di accesso ai documenti condominiali e l'abuso del diritto

Diritto di accesso ai documenti condominiali

La legge n. 220/2012 ha introdotto il nuovo art. 1130-bis c.c., il quale espressamente prevede che i condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese. Per converso, sussiste l’obbligo dell’amministratore di tenuta delle scritture e dei documenti giustificativi per dieci anni dalla relativa registrazione.

Tale norma, per quanto concerne il diritto di accesso alla documentazione condominiale, deve necessariamente essere letta in combinato disposto con il secondo comma dell’art. 1129 c.c. che obbliga l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell’incarico, a comunicare:

  • i propri dati anagrafici e professionali;
  • il codice fiscale o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione;
  • il locale ove si trovano i registri obbligatori (anagrafe, contabilità, verbali, nomina/revoca);
  • da ultimo, per quel che concerne maggiormente il caso in commento, “i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, può prendere gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata”.

Una prima considerazione che deve essere necessariamente effettuata attiene alle modalità di accesso agli atti da parte dei condomini. Come affermato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, il potere di controllo, pur riconosciuto dalla legge ai partecipanti al Condominio, non deve mai risolversi in un intralcio all’amministrazione né porsi in contrasto con il principio di correttezza ex art. 1175 c.c. (Cass. n. 12579/2017).

Immobile in comodato: il caso in commento

Nella fattispecie concreta in questione, un proprietario di un immobile in condominio richiedeva a più riprese all’amministratore copia degli ultimi tre rendiconti approvati nonché di conoscere le quote ordinarie dovute, in quanto il predetto immobile era concesso in comodato alla moglie, nell’interesse del figlio minore (cd. “casa familiare”).

Sebbene le predette richieste, inviate dapprima personalmente e di poi a mezzo legale di fiducia, venivano regolarmente ricevute dall’amministratore a mezzo raccomandata a.r., questi non forniva alcun riscontro.

Il condomino, dunque, si vedeva costretto a ricorrere al Tribunale competente per territorio incardinando ricorso ex art. 702-bis c.p.c. (cd. “obbligo di fare” ora abrogato con la riforma Cartabia)) per vedere soddisfatte le sue ragioni.

Con l’ordinanza in commento (del 21 luglio 2020), nell’accogliere la domanda attorea, il Tribunale di Napoli Nord pone riferimento alle norme in tema di mandato. Come si legge in motivazione: la L. n. 220/2012 ha ormai chiarito che l’amministratore è legato al Condominio da un particolare rapporto di mandato e che, dunque, stante anche il dato legislativo, nei rapporti tra l’amministratore ed i condomini si applicano le norme in tema di mandato, in quanto compatibili. Tra queste, assume rilievo l‘art. 1713 c.c. relativa all’obbligo gravante sul mandatario di rendere al mandante il conto della gestione. Da tale obbligo deriva, dunque, il diritto dei condomini a prendere visione della documentazione condominiale, nelle forme e con i limiti di cui al precedente paragrafo e a condizione che il diritto di accesso non comporti oneri per il condominio.

L’abuso del diritto

È chiaro che, in caso di continue e reiterate richieste “meramente esplorative” da parte del condomino, il contegno assunto sfocerebbe nella figura del cd. abuso di diritto. Tale istituto, a differenza di altri sistemi codicistici europei, non è espressamente disciplinato mediante una previsione generale di divieto di esercizio del diritto in modo abusivo. Vi sono, viceversa, solo specifiche disposizioni in cui sanzionato l’abuso con riferimento all’esercizio di determinate posizioni soggettive. La principale, e forse la maggiormente nota agli operatori del settore condominiale, di queste fattispecie è sicuramente quella del “divieto di atti emulativi” di cui all’art. 833 c.c.

Sul piano processuale, poi, l’abuso del diritto si traduce in abuso del processo per le ipotesi in cui una parte agisca senza utilizzare la normale diligenza in maniera “temeraria”. Tale fattispecie è sanzionata dall’art. 96 c.p.c. in tema di condanna alle spese processuali.

Gli elementi costitutivi dell’abuso sono, dunque essenzialmente tre (Cass. n. 20106/2009):

  • la titolarità di un diritto soggettivo (quello del condomino ex artt. 1129 c.c. e 1130-bis c.c.), con possibilità di utilizzo secondo diverse modalità;
  • l’esercizio concreto del diritto in modo solo formalmente rispettoso della cornice attributiva, ma, tuttavia, censurabile rispetto a un criterio di valutazione giuridico e/o extragiuridico;
  • la verificazione, a causa di tale modalità di utilizzo, di una sproporzione tra il beneficio del titolare del diritto (il condomino) ed il sacrificio cui è costretta “la controparte” (l’attività professionale dell’amministratore);
  • secondo parte della dottrina, sarebbe necessario anche l’elemento soggettivo del cd. animus nocendi, tipico degli atti emulativi.

Diritto innegabile, dunque, in capo al condomino, quello di accesso alla documentazione del Condominio, ma da esercitarsi entro ben determinati limiti.