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About Rodolfo Cusano

Prof. Avv. Rodolfo Cusano

impugnazione delibera condominiale

Impugnazione delibera: in mediazione occorre indicare i motivi Il Tribunale di Napoli rimarca l'obbligo di indicare espressamente i motivi di impugnativa nel procedimento di mediazione

Obbligo di mediazione impugnativa delibera assembleare

Ai sensi dell’art. 5, co. 1, d.lgs 28/2010, chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione, il che significa che, nelle materie di cui sopra, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità è eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.

Quando l’azione di cui all’articolo 5, co. 1, è stata introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, nel procedimento di opposizione l’onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo (art 5 bis, d.l gs 28/2010) e quindi sul condominio ricorrente.

Ai fini della tempestività (al fine di impedire, nella specie, la decadenza per inosservanza del termine di cui all’art. 1137, 2° comma, c.c.) della domanda di mediazione obbligatoria ex art. 5 d.lgs. 25/2010, quel che conta, afferma il tribunale di Napoli, nella sentenza n. 10208/2023, “è la comunicazione a controparte della avvenuta presentazione della domanda, e non anche della data di convocazione dinanzi all’organismo di mediazione”.

L’art. 5, 6° comma, del d.lgs. 28/2010 prevede, infatti, che “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 presso la segreteria dell’organismo”.

Pertanto, osserva ancora il tribunale, “non è dal momento della presentazione della domanda di mediazione, ma soltanto dal momento della relativa comunicazione all’altra o alle altre parti, che si verifica l’effetto, collegato dalla legge alla proposizione della relativa procedura deflattiva, di impedire la decadenza eventualmente prevista per la proposizione dell’azione giudiziale, come nel caso della impugnazione delle delibere dell’assemblea condominiale, ex art. 1137, 2° comma, c.c.” (cfr. Cass. 2273/2019).

Peraltro, non sembra possa validamente porsi in dubbio che l’onere della comunicazione (al fine anzidetto) della presentazione della domanda di mediazione incomba sulla parte che l’ha presentata, e non già sull’adito organismo di mediazione, come si evince in modo univoco dalla stessa formulazione della norma, che collega l’effetto interruttivo della prescrizione o impeditivo della decadenza al momento della comunicazione alle altre parti della domanda di mediazione.

Obbligo di indicare i motivi di impugnativa in mediazione

Quanto all’obbligo di indicare, a pena di improcedibilità, tutti i vizi e le motivazioni e le domande che saranno poi oggetto dell’azione giudiziaria, il tribunale ricorda che ai sensi dell’art. 4, comma 2 del d.lgs. 28/2010: “L’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa” e deve avere gli stessi elementi (parti, oggetto e ragioni) riproposti in sede processuale (persone, petitum e causa petendi dell’art. 125 c.p.c.) ciò in quanto la mediazione è effettiva solo ove la parte chiamata viene messa in condizione di conoscere tutte le questioni costitutive della pretesa dell’altra parte. L’istanza perciò deve essere completa, così da rendere possibile il raggiungimento di un accordo che risolva la materia del contendere evitando un procedimento giudiziale.

“Una domanda di mediazione generica sotto il profilo del petitum o della causa petendi, non può considerarsi validamente espletata e comporta l’improcedibilità della domanda” (nota 1).

Nella specie, invero, parte attrice ha avanzato istanza di mediazione dalla quale si evince soltanto l’oggetto della domanda, ossia l’impugnativa della delibera del 17.12.2021 con particolare riguardo ai capi 2 e 3 all’ordine del giorno senza alcuna indicazione dei motivi di tale impugnazione.

Orbene, precisa il giudice, se è vero che per la mediazione ante causam è sempre possibile sanare l’improcedibilità, potendo il giudice demandare un nuovo esperimento della mediazione e, solo in caso di mancato (valido) esperimento di tale nuova mediazione, pronunciare l’improcedibilità della domanda, è anche vero che nel caso di impugnazione di delibera condominiale sussiste un termine di decadenza che viene interrotto  dalla “comunicazione” (che può essere fatta sia dall’organismo di mediazione che direttamente dall’istante) della istanza di mediazione alla controparte una sola volta e che inizia a decorrere nuovamente dal deposito del verbale conclusivo della mediazione.

Tale effetto interruttivo, però, può essere riconosciuto solo ad una procedura validamente espletata ed in relazione all’istanza comunicata che sia simmetrica alla futura domanda giudiziale, tenuto conto della natura deflattiva dell’istituto della mediazione, volto ad instaurare subito, già dinanzi al mediatore e prima del processo, un effettivo contraddittorio sulle questioni che saranno oggetto del futuro ed eventuale giudizio di merito. Ed è sempre in virtù della fine della procedura che il legislatore ricollega, per una sola volta, alla mediazione l’interruzione delle decadenze.

Diversamente, consentire alla parte di avvalersi del beneficio dell’impedimento delle decadenze con la mera presentazione di una “istanza” che non presenti i requisiti sopra indicati, significherebbe svilire l’istituto della mediazione ad un mero adempimento burocratico, in contrasto con la ratio ad esso sotteso, ed incentivare il suo uso meramente dilatorio, a beneficio di una sola parte.

Nel caso di specie l’istanza di mediazione versata in atti si presenta del tutto generica, non contiene alcun riferimento alle singole delibere impugnate ed ai vizi ad esse imputati; la domanda giudiziale, invece, contiene l’impugnativa di più deliberati (si tratta, infatti, di più delibere assunte su diversi ordini del giorno della stessa seduta) e l’esposizione, per ciascuna di essi, dei singoli vizi denunciati (contemplando, peraltro, in alcuni casi, anche censure che non si sostanziano, strictu sensu, in vizi di legittimità delle delibere).

Mancando la necessaria simmetria tra l’istanza di mediazione e la domanda giudiziale in concreto formulata, la mediazione non può ritenersi validamente svolta e, quindi, non impedita la decadenza dell’impugnazione ex art. 1137 c.c. (per cui sarebbe risultato inutile demandare alle parti una nuova mediazione che mai avrebbe potuto sanare la decadenza nella quale è incorsa la parte attrice).

Infatti, nel caso sottoposto all’esame del tribunale “non può parlarsi di parziale difformità, di non perfetta coincidenza di petitum e causa petendi ovvero di generica indicazione dei motivi giacché essi oggettivamente non risultano in alcun modo richiamati nell’istanza di mediazione”.

Conseguentemente, il tribunale napoletano dichiara improcedibile la domanda e inammissibile l’impugnazione per intervenuta decadenza.

approvazione e revisione tabelle millesimali

Approvazione e revisione tabelle millesimali: serve la forma scritta Necessità della forma scritta per l’approvazione e la revisione delle tabelle millesimali

Tabelle millesimali e forma scritta

L’aspetto che suscita maggiore interesse relativamente alla redazione ed applicazione delle tabelle millesimali in sede di riparto di una o più spese in ambito condominiale, attiene alla necessità di forma scritta per ciò che concerne l’approvazione e/o le modifiche.

Tale assunto è di fondamentale importanza anche nell’ottica delle conseguenze relative alla forma di invalidità di una delibera assembleare che disponga diversamente.

Così ha stabilito con sentenza n. 26042/2019, la Suprema Corte in data 15 ottobre 2019. Con tale sentenza si è affermato, che non è sufficiente – per derogare a criteri tabellari previsti dalla legge e/o dal regolamento di condominio e per la creazione di una tabella “virtuale” di riparto – il pagamento dei contributi per molti anni da parte dei condomini sulla base di tabelle applicate “de facto” né la reiterata approvazione di rendiconti e di delibere di ripartizione delle spese secondo criteri diversi da quelli di cui alle tabelle esistenti. Una o più deliberazioni adottate in tal senso dall’assemblea sarebbero sicuramente invalide (conforme Cass. n. 4259/2018).

Il riparto per quote uguali non esiste

Si ricade in detta fattispecie nel caso, purtroppo frequente, in cui si vanno a ripartire spese ordinarie o, soprattutto straordinarie, con il criterio della suddivisione in parti uguali, sulla scorta di prassi seguite nel tempo dai condòmini.

Quel che è certo è che osta a tale illegittimo contegno, la mancanza di una approvazione per iscritto della tabella che si pretende di applicare ovvero della modifica della stessa rispettivamente, in forza del sistema vigente, a maggioranza o all’unanimità.

Invero, sul punto già si erano espresse le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 943/1999 argomentando sull’analogia di forma (scritta ad substantiam) che deve caratterizzare il regolamento di condominio e le tabelle millesimali. E ciò non solo in caso di regolamento contrattuale (in quanto nello stesso ben possono essere contenute clausole che incidono sui diritti dei singoli condomini o sulle loro proprietà esclusive o, ancora, possono prevedersi limitazioni per i singoli sulle parti comuni) ma anche in caso di regolamento di condominio cd. assembleare, con tabelle allegate, posto che vi è l’obbligo per l’amministratore di conservare il relativo registro dei verbali (art. 1130 n.7 c.c.). Tale ultimo assunto trova conferma nella disposizione di cui all’art. 68 disp. att c.c. alla stregua del quale, ove non precisato dal titolo, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata (in forma scritta) al regolamento di condominio.

Irrilevanza del consenso o dell’acquiescenza dei condomini

Deve, quindi, affermarsi l’irrilevanza del ripetersi del consenso o dell’acquiescenza tacita dei condomini verso ripartizioni effettuate alla stregua di tabelle millesimali diverse da quelle risultanti dai sopra menzionati atti scritti, sino a quando queste non vengano modificate da una valida delibera assembleare.